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Il mercato non ha più confini: il digitale apre al mondo, occhio alle relazioni

Opportunità in nuovi mercati anche per il B2C, ma bisogna essere attenti alla cultura e ai rapporti con le community

di Giampaolo Colletti

3' di lettura

«Ogni viaggio sospeso prima o poi ricomincerà». Un messaggio in mandarino scritto su sfondo arancio ocra e pubblicato sulla piattaforma WeChat è diventato uno dei più condivisi sugli smartphone cinesi. Così a inizio 2020, prima ancora che la pandemia fosse dichiarata tale e quando le immagini dei lockdown a Wuhan iniziavano a rimbalzare su tutti i tg del mondo, il colosso del lusso Louis Vuitton ha comprato spazi sulla piattaforma social più diffusa in Oriente.

Un’azione anche commerciale: la griffe francese ha chiuso il 2020 con un fatturato consolidato di 44,7 miliardi di euro e realizza un terzo delle proprie vendite nel mercato cinese. Ma in filigrana si legge anche altro, ossia quel mettersi in ascolto di una comunità.

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Vendere prodotti e servizi, posizionandosi al meglio sui mercati esteri, nel momento in cui il mondo fisico si è ristretto e quello digitale si è espanso. E farlo intercettando fasce di popolazione geograficamente lontane e alfabetizzate agli acquisti online.

La fotografia scattata da PwC nella survey Global Consumer Insight 2021 racconta come il 79% dei consumatori oggi scelga di andare online con lo smartphone: il mobile diventa così un accesso privilegiato agli store virtuali, che hanno registrato nel 2020 +45% di vendite. Intanto il 42% dei consumatori quando acquista online premia velocità e affidabilità nelle consegne. Nel tempo fragile segnato dalla pandemia a imporsi sono i comparti alimentari (+64%), media e intrattenimento (35%), pickup e delivery da ristoranti (27%).

Ma il mercato allarga le sue maglie e gli analisti stimano che l’acquisto online di beni nel 2021 arriverà a 461 miliardi di euro (+9,3%), mentre quello dei servizi a 107 miliardi di euro (+26.2%). Acquisti globali su marketplace che sono diventati bussole per orientare i consumatori connessi: tra quelli legati alla moda a imporsi sono Zalando, Asos, Myntra. Nella categoria elettronica spiccano Bestbury, Newegg, G2a.com. Nell’arredamento Wayfair, Manomano, Houzz.

Nuove opportunità

«Se il mondo business-to-business, con settori come la meccanica e l’automotive, opera soprattutto su piattaforme riservate riconducibili alle catene del valore esistenti, il business-to-consumer sta facendo emergere opportunità nel comparto agroalimentare e nel mondo dell’arredamento e del design. Resta però la moda l’eccellenza nel digital export, con oltre due terzi del volume d’affari realizzato sul web da aziende italiane verso consumatori stranieri», afferma Andrea Boscaro, partner di The Vortex, società di formazione dedicata ai media digitali, da anni impegnata a collaborare con l’Istituto Commercio Estero, Promos Italia e le associazioni di categoria per far crescere la competitività delle imprese nostrane.

Ma attenzione. Prima di vendere su mercati globali occorre conoscere le dinamiche, i processi, le relazioni: un impegno che va dal contatto preliminare col cliente prospect alle azioni di post-vendita: «Vendere online significa progettare una fabbrica di ordini con le conseguenti complessità sul piano del procurement, delle consegne e dell’adattamento di etichette. E ancora comunicazioni e adempimenti rispetto allo specifico Paese target.

Quindi per affrontare l’estero occorre conoscere le strategie digitali – dalla generazione di contatti commerciali alla vendita online – e gli investimenti necessari per sviluppare una presenza in mercati spesso più maturi e quindi più competitivi. Si può iniziare gradualmente una collaborazione con i partner locali o avvantaggiarsi del supporto operativo e logistico dei marketplace. L’uso tattico di piattaforme di lead generation come Houzz nell’arredamento può affiancarsi alla versione multi-lingua del proprio sito», dice Boscaro.

«Aloha spirit»

La chiave vincente resta la formazione, unita alla condivisione delle buone pratiche. L’equilibrio passa da un’attenzione quasi maniacale ai linguaggi e alle relazioni, ben oltre l’elemento tecnologico. A fare la differenza è l’effetto “aloha spirit”, cioè lo spirito conversazionale, come ha scritto Lawrence Downes sul New York Times: ciò che conta è entrare in sintonia con la comunità specifica alla quale ci si rivolge. «La tecnologia conta, ma è sempre più accessibile grazie all’enorme diffusione delle soluzioni open source e delle community che sviluppano anche le funzionalità necessarie per i siti multi-lingua e multi-valuta: per esempio Google ha introdotto strumenti per facilitare la corretta indicizzazione dei siti in relazione ai mercati di riferimento. Ecco perché l’ecommerce ha a che fare con la psicologia, tanto quanto ha a che fare con la tecnologia: non può prescindere da un efficiente customer care in lingua, soprattutto nella pre-vendita», conclude Boscaro.

Ancora una volta la partita per l’attenzione e il relativo acquisto nell’agone digitale si gioca su competenze relazionali, oltre a quelle tecnologiche.

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