Il Met sottopone al consiglio la dismissione delle opere
Per tamponare la crisi economica del museo consultata una casa d’asta per vendere eventuali doppioni. Secondo un’indagine dell’AAMD per i direttori un decimo delle collezioni non è strategico
di Marilena Pirrelli
3' di lettura
Il perdurare della crisi sanitaria negli Stati Uniti non consente di mettere ancora in sicurezza i musei, settore che prima della pandemia produceva oltre 700.000 posti di lavoro, aggiungendo oltre 50 miliardi di dollari al Pil degli Stati Uniti secondo le stime dell’ Association of Art Museum Directors (AAMD). E i bilanci sono in profondo rosso anche per un gigante come il Metropolitan Museum di New York che in questi giorni nelle parole del suo direttore ha preso in considerazione di vendere qualche opera della sua sterminata collezione: “E' il momento di tenere aperta ogni opzione”, ha detto al 'New York Times' il direttore Max Hollein: “Nessuno ha ancora idea di come andrà a finire con la pandemia. Sarebbe irresponsabile se non ci pensassimo mentre ancora stiamo in questa nebbia”. A causa del pesante calo delle entrate l'anno fiscale 2020 del Met si è chiuso con un deficit operativo di 7,7 milioni di dollari (2,3 milioni di $ di surplus nel 2019), così il direttore ha avviato contatti con case d'asta per considerare la vendita, mentre i suoi curatori hanno cominciato a passare in rassegna le collezioni per individuare doppioni o opere che non sono mai state esposte o lo sono state raramente. Prima di passare alla fase operativa però, il consiglio di amministrazione dovrà rivedere le regole sulle “deaccessioni”: l'argomento è all'ordine del giorno della riunione di marzo. Per il Met l'idea è di approfittare della finestra di due anni aperta dalla Association of Art Museum Directors che nei primi mesi del Covid ha allentato le regole che governano la vendita di opere dalle collezioni.
Le cessioni durante il lockdown
In passato ai musei era permesso di usare questi fondi solo per aggiornare le collezioni con nuovi acquisti di opere. Ma a fronte delle prolungate chiusure che hanno messo in ginocchio i musei è ora a rischio la loro stessa sopravvivenza. L'Associazione aveva annunciato già nel primo lockdown di non penalizzare i musei che “avessero usato gli incassi per spese associate alla manutenzione delle raccolte”, insomma veniva sdoganata l’ipotesi di usare i ricavi delle vendite delle opere per le spese ordinarie, compresi gli stipendi del personale. Il Brooklyn Museum aveva dato l'esempio lo scorso autunno rastrellando 31 milioni di dollari in aste negli Usa e in Europa. Subito dopo il Baltimore Museum of Art aveva annunciato la vendita da Sotheby's di dipinti di Brice Marden, Clyfford Still e Andy Warhol per finanziare una serie di iniziative, alcune a vantaggio dei dipendenti, ma l'operazione era finita su un binario morto: a seguito delle proteste di trustees, facoltosi donatori e dell'Associazione dei Direttori di Musei, l'asta era stata sospesa a due ore dall'inizio.
Le critiche
Anche i piani del Met hanno immediatamente incontrato resistenze: tra i critici più in vista, l'ex direttore Tom Campbell, messo alla porta senza cerimonie nel 2017 dopo un mandato di nove anni segnato da accuse di cattiva amministrazione, si è detto “sconcertato”. Scrivendo sul suo profilo Instagram, Campbell ha detto di comprendere le complessità dell'amministrazione di un colosso come il Met: “Ho grande simpatia per chi si trova al volante, ma temo che si stia prendendo una strada scivolosa”. Secondo Campbell, “il pericolo è che le vendite per sostenere i costi operativi diventino la norma, specialmente se a farlo sono musei importanti come il Met: avrebbe l'effetto che ha il crack su un tossicodipendente”. Nell’Ithaka S+R Art Museum Director Survey 2020 che ha esaminato la strategia e la leadership dei direttori dei musei d'arte negli Stati Uniti conclusasi il 30 marzo scorso - quando era chiaro che la pandemia sarebbe diventata un'urgenza per i 303 musei coinvolti, tra municipali e accademici con un tasso di risposta del 50% - era emerso che la maggior parte dei direttori avrebbe voluto che fosse più facile la dismissione delle opere che non rientravano strategicamente nella collezione. E avevano stimato che tali opere costituivano in media circa un decimo delle loro collezioni. Ed era emerso che la diversificazione delle collezioni sulla base dell'identità dell'artista - cioè razza, etnia e genere - veniva rappresentata come una priorità nelle strategie di acquisizione. Una consapevolezza maturata dai direttori già prima del profondo rosso nel quale sono sprofondati i musei american con la pandemia.
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