ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLe celebrazioni a 30 anni dalla morte

Il metodo Carli, coraggio e visione per l’Italia di domani

Diceva Jonathan Swift che la visione è l’arte di vedere ciò che è invisibile agli altri. Nel 1981 Guido Carli “vedeva” un’Europa monetaria «terribilmente indietro rispetto al calendario» e avvertiva: «Mai come oggi sarebbe necessario uno sforzo di fantasia e di volontà politica.

di Romana Liuzzo*

(ANSA)

3' di lettura

Diceva Jonathan Swift che la visione è l’arte di vedere ciò che è invisibile agli altri. Nel 1981 Guido Carli “vedeva” un’Europa monetaria «terribilmente indietro rispetto al calendario» e avvertiva: «Mai come oggi sarebbe necessario uno sforzo di fantasia e di volontà politica. Mai come oggi sembra relegato nelle incerte nebbie d’un lontano futuro». Quello sforzo fu il suo. Undici anni dopo, da ministro del Tesoro, fu lui a negoziare e a siglare il Trattato di Maastricht, segnando il cammino che avrebbe portato l’Italia nell’euro e incassando l’introduzione di criteri di convergenza graduale verso un obiettivo-soglia al posto dei parametri rigidi proposti dalla Germania. «Mi tremava la mano mentre firmavo», confessò a me bambina, sua nipote, una volta tornato a Roma.

È un esempio luminoso di quello che potremmo definire “il metodo Carli”: non soltanto immaginare il cambiamento necessario al progresso economico e sociale del Paese, ma perseguirlo e infine realizzarlo con determinazione e umanità. Come amava ripetere, da straordinario negoziatore qual era, per cambiare senza lasciarsi cambiare la ragione va trasformata in forza. Fu quello che fece nei molteplici incarichi che ricoprì. «La Repubblica deve molto alla sua intelligenza, alla sua opera, al suo rigore morale», ha riconosciuto il capo dello Stato, Sergio Mattarella. In tutti i suoi ruoli «ha interpretato nel dopoguerra le ragioni di una società aperta, capace di crescere e di integrarsi nell’economia di mercato, di promuovere la giustizia sociale e di divenire protagonista nell’Europa democratica, valorizzando così le capacità produttive e le risorse creative del Paese».

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Il 23 aprile ricorrerà il trentennale della sua scomparsa. Una ricorrenza speciale, che cade in un’Italia in preda all’incertezza, combattuta tra l’orgoglio di essere cresciuta oltre il 10% nel 2021 e nel 2022, più di Francia e Germania, dimostrando sul campo l’eccezionale resistenza delle sue famiglie e delle sue imprese, e la paura per l’inflazione tornata a doppia cifra, complici la guerra e la crisi energetica. Un’Italia piena di slanci, talenti ed energie coraggiose, che è stata traghettata verso il ritorno alla normalità da un discepolo di Carli, Mario Draghi, e che ora al timone vede la prima donna premier, Giorgia Meloni, continuare a battersi per un’Europa «casa comune, non circolo elitario con soci di serie A e soci di serie B». Il sogno di mio nonno vive ancora: è l’Europa madre provvidenziale che abbiamo visto all’opera con il Next Generation Eu e i Pnrr, non l’Unione divisa e tentennante che ha tardato ad assumere decisioni incisive sul gas e sull’energia.

La lezione di Carli è una miniera inesauribile per affrontare le sfide del presente. Il Financial Times ha appena definito il nostro Paese «l’anello debole» dell’eurozona, il più esposto a una nuova crisi del debito per l’aumento dei costi di finanziamento in seguito al rialzo dei tassi deciso dalla Bce. Una lettura miope, come ha ben evidenziato Marco Fortis su queste pagine il 27 gennaio, che tiene conto soltanto del parametro del rapporto debito-Pil, ignorando tutto il resto: il recupero di credibilità e reputazione, il ricorso a nuovo deficit in misura di gran lunga inferiore a quello dei partner europei nel biennio della pandemia, un avanzo primario cumulato degli ultimi trent’anni che è il più alto al mondo e soprattutto la crescita. Per Carli un imperativo etico, insieme all’occupazione. Ripartire dai suoi insegnamenti, trent’anni dopo la sua morte, significa avere fiducia: nell’attuazione delle riforme per la crescita, appunto, ma anche nel merito, nell’Europa solidale e nella forza delle nostre ragioni, senza nasconderci le fragilità e i vizi, come quella che, citando Tommaso Campanella, Carli definì «l’antica predilezione per “le leggi tiranniche” che “sono molti lacciuoli che ad uno o a pochi sono utili”». Oggi come allora non è tempo di corporativismi. È tempo di visione, azione ed equità sociale: l’audacia di cambiare, di affrontare la transizione ecologica e digitale guardando solo all'interesse generale. Della comunità e delle nuove generazioni. Senza timore di fallire.

Proprio all’“Elogio dell’insuccesso” è dedicata la prima delle due lectiones magistrales con cui la Fondazione Guido Carli aprirà le celebrazioni per il trentennale, lunedì 6 marzo alle ore 17.30 nell’Aula Magna della Luiss: Claudia Parzani, la prima donna presidente di Borsa Italiana, ci aiuterà a sfatare lo stereotipo del successo, sollecitandoci a uscire dalla nostra comfort zone e a costruire leadership aperte, inclusive, giuste, capaci anche di sbagliare e di guardare oltre il mero raggiungimento del risultato. Perché innovazione fa rima con creatività e valorizzazione della diversità. Seguirà Beatrice Venezi, direttore d’orchestra di fama internazionale, che ricorderà l’importanza di saper “Cantare fuori dal coro”. Un doppio invito al coraggio. Quello che serve per vedere ciò che agli altri è invisibile e cambiare il mondo in meglio: il “metodo Carli”.

*Presidente della Fondazione Guido Carli

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