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Il Mezzogiorno ora è in cerca di strategie per fermare il calo continuo delle iscrizioni

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di Luigia Ierace

 Una veduta dall’alto della cittadella universitaria dell’Ateneo di Palermo: qui si concentra la gran parte delle facoltà

3' di lettura

«Un’azione di coordinamento tra gli atenei e tutti i policy-maker a livello nazionale e territoriale e una forte specializzazione in quelle nicchie di mercato del lavoro a forte domanda locale sono le principali leve di resilienza che le università italiane possono porre in essere per far fronte al declino demografico dei 18-21enni che rischia di minare l'intero sistema universitario nazionale». Un calo irreversibile che interessa una fascia di età che rappresenta il 90% degli immatricolati degli Atenei, che partirà dal Mezzogiorno per poi interessare tutto il Paese, essendo il Sud un bacino rilevante di attrazione di studenti per i grandi poli universitari. È quanto emerge dal Report “Università e Demografia. La sfida di lungo periodo degli atenei italiani”, relativo alla banca dati Discovery di Talents Venture.

Nelle regioni del Sud la popolazione di 18-21 anni si sta riducendo da tempo e il calo proseguirà nei prossimi anni fino a toccare le 414 mila unità del 2040 (erano 703 mila nel 2010). Per regioni come la Sardegna, la Basilicata e la Puglia è prevista una riduzione della popolazione nel 2040 (rispetto al 2023) rispettivamente del 34%, del 33% e del 32%. Gli atenei più esposti al declino demografico saranno quelli le cui sedi didattiche si trovano al Sud. Enna Kore, Basilicata, Foggia, Sannio e Federico II sono quelli che potrebbero assistere a una riduzione di immatricolati “in sede” nelle proprie sedi didattiche tra il 15% e il 24% entro il 2030 rispetto all'anno accademico 2021/22.

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«Il declino atteso – sottolinea Carlo Valdes, economista e Business Data Manager di Talents Venture che ha coordinato l’analisi – mette in discussione la sostenibilità di molti corsi di laurea e sedi didattiche e la sostenibilità finanziaria». Il 18% dei corsi nell’anno accademico 2020-2021 aveva 20 iscritti o meno, al primo anno, percentuale che sale al 24% per i soli corsi di laurea magistrali. A rischio l’esistenza stessa di molte sedi didattiche, una quindicina, situate soprattutto nei territori più fragili del Mezzogiorno, in cui gli atenei dovrebbero essere fondamentali leve di sviluppo. Quanto alle entrate finanziarie, se il gettito dei corsi di laurea registrasse una contrazione pari a quella della popolazione di 18-21 anni, le minori entrate nel 2040 rispetto al 2020 potrebbero ammontare a oltre 600 milioni: un valore prossimo a quello che oggi realizzano i 7 atenei statali con il gettito maggiore dai corsi di laurea.

Come fronteggiare il calo demografico? Per l'economista sono cinque le strade da percorrere. «Aumentare il numero di diplomati che si iscrivono all'Università, che ora è tra il 45-60%. Attrarre altre fasce di popolazione, gli over 35 che attualmente rappresentano il 2,4% ; gli studenti lavoratori sono ora per lo più orientati verso le telematiche per la difficoltà di spostarsi ma che potrebbero trovare nei piccoli atenei l'opportunità di riformare le proprie competenze per essere più competitivi. Far crescere il numero di studenti internazionali, come il caso virtuoso di Messina. Aumentare la capacità di trattenere gli studenti nei territori di residenza e infine aumentare la capacità di attrarre studenti da altre regioni». In sostanza, «la grande sfida del Mezzogiorno è trattenere gli studenti entro i confini della regione, ma occorre – per Valdes – un coordinamento a tutti i livelli, nazionale e locale, perché queste strategie se poste in essere da singoli atenei rischiano di aumentare la competizione tra gli stessi, ed è quello che sta succedendo, ma con i rischi connessi alla perdita di importanti presidi territoriali».

Guardando all'ultimo decennio ci sono regioni come Puglia, Sicilia, Basilicata in cui gli studenti che si sono immatricolati in altre regioni sono di più di quelli persi per il declino demografico. E atenei come quello lucano dove oltre il 50% dei corsi nel 2021-2022 aveva 20 iscritti al primo anno o meno. «Il calo delle nascite è inevitabile, i flussi migratori verso il Centro-Nord sono un problema che può essere risolto solo con politiche di occupazione che consentano di investire qui – dice il pro-rettore dell'Università della Basilicata, Nicola Cavallo– . Non dobbiamo dimenticare che siamo sul Mediterraneo e potremmo intercettare i bisogni di alta formazione che arrivano dai paesi che si affacciano su di esso».

«Come unico ateneo della regione – continua Cavallo – ha una mission di straordinaria importanza. Non si limita ai compiti istituzionali della ricerca e della didattica, ma si configura come un volano di crescita; che concorre allo sviluppo regionale, sia territoriale che sociale, e uno stabile presidio di cultura e di legalità. Alcuni corsi di studio hanno pochi studenti, è vero, ma non significa che non siano importanti per i ragazzi che qui preferiscono studiare. Il compito dell'Università è fare anche ricerca e questa è essenziale per aiutare il territorio».

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