Il Milan chiama e l’Inter risponde: 4-0 alla Fiorentina. Dopo la Nazionale il derby della verità
Sull'Inter, già passata sopra Monza e Cagliari, e ulteriormente rinforzata dagli ultimi acquisti di mercato, si attendeva una risposta adeguata. E risposta c'è stata
di Dario Ceccarelli
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Sembra fatto apposta. Un inno al calcio milanese. Frutto della sapiente mano di un astuto regista che si diverte a creare eventi speciali. Se è così, quel regista è stato proprio bravo perché il prossimo derby di Milano, che si giocherà il 16 settembre a San Siro dopo la sosta della Nazionale, non poteva essere più intrigante con le due rivali a punteggio pieno e sole sul tetto della classifica, anzi sulla guglia più alta del Duomo visto che al centro della scena c'è una città che, almeno in questo abbrivio di campionato, ritrova il suo inossidabile splendore dopo la lunga estate dello scudetto napoletano.
Del Milan, che sabato all'Olimpico aveva annichilito la Roma andando in vetta, si sapeva. Un Diavolo ricostruito, aggressivo e con una serie di innesti (Raijnders, Pulisci e Loftus Cheek) perfettamente integrati da Stefano Pioli. Sull'Inter, già passata sopra Monza e Cagliari, e ulteriormente rinforzata dagli ultimi acquisti di mercato, si attendeva una risposta adeguata. E risposta c'è stata. Sonora, puntuale, travolgente. E dire che la Fiorentina non sembrava tanto addomesticabile. Proprio lo scorso aprile a San Siro, complicando la situazione di un traballante Inzaghi, si era portata via tre punti. Questa volta invece non c'è stata partita. Forse svuotati dalla faticosa qualificazione in Conferenze League, i viola sono stati asfaltati (4-0) da un'Inter straripante guidata da un travolgente Lautaro, alla sua seconda doppietta (5 reti complessive). A completare il poker, il bel gol iniziale di Thuram e un rigore di Calhanoglu. Una lezione di calcio, quasi in scioltezza, che esalta la tifoseria nerazzurra in vista di un derby apertissimo a qualsiasi risultato. Se il Milan ha stupito per la facilità di intesa dei nuovi con la vecchia guardia, l’Inter ha solo confermato in meglio le sue nuove potenzialità. Con un valore aggiunto: la forza trascinatrice di capitan Lautaro, bomber sempre più devastante in una squadra impeccabile anche negli altri reparti. Era dal 1966 che l’Inter non vinceva le prime tre partite di campionato mantenendo la sua porta imbattuta. Tra due settimane il derby dovrà dare quindi una prima sentenza, o perlomeno stabilire una gerarchia cittadina che, fino a poche settimane fa, sembrava in pugno all'Inter, sempre vittoriosa nei primi quattro derby del 2023. Il Milan attuale, molto cresciuto, farà di tutto per rovesciare, in questa quinta sfida, una superiorità che adesso, almeno sulla carta, non è più così manifesta. Un derby tra due rivali, entrambi aspiranti alla seconda stella, che può dare, oltre al primo posto in città, anche il primo posto in classifica.
La Juve passa a Empoli con Danilo e Chiesa
La squadra di Max Allegri, passando in scioltezza ad Empoli (0-2), rimane (sette punti) in scia alle milanesi (9 punti) insieme al sorprendente Lecce, vittorioso sulla Salernitana per 2-0. I bianconeri hanno battuto i toscani, unici a zero punti, con una superiorità schiacciante. Segnano Danilo e Chiesa, mentre Vlahovic, che ha fallito un rigore, è rimasto a secco. Buono l'esordio di Kostic, protagonista nel primo tempo sulla corsia sinistra. «Ho visto un’intesa crescente tra Chiesa e Vlahovic», ha commentato Allegri preoccupato per un nuovo infortunio di Pogba (fitta a alla gamba destra). Al francese, autore di una buona prova, era stato annullato un gol per fuorigioco.
Prima stecca del Napoli
Eccola qua. La prima stecca dei partenopei. Prima o poi doveva arrivare. Ma che botta! Per la prima volta, dopo un anno, il Napoli non è più in testa alla classifica. Certo, siamo solo alla terza giornata, ma perdere (1-2) in quel modo davanti al proprio pubblico, con la Lazio del professor Sarri, fa davvero male. Una doccia fredda, non prevista, perché semmai era la Lazio, reduce da due sconfitte consecutive, a temere il peggio. E invece qualcosa si è inceppato. Tanti strafalcioni in difesa, poca cattiveria, scarsa concretezza. E poi alcune scelte di Garcia, scarsamente reattivo davanti a una partita che, nella ripresa, ha girato tutta a favore della Lazio. E dire che dopo lo splendido gol di Luis Alberto, i partenopei aveva pareggiato subito con Zielinski. Ma dopo la rete decisiva di Kamada, il Napoli è andato alla deriva come un veliero disalberato con Osimhen svuotato e pasticcione. Perdere ci sta, soprattutto con un avversario così tosto. Però a Napoli suonano i primi campanelli d'allarme. Alcuni su Garcia, e sulle sue scelte tattiche, visto che la squadra (Kim a parte) è la stessa dello scudetto. Poi c'è il fantasma di Spalletti ritornato in scena con il suo arrivo in Nazionale. Un fantasma pesante, difficile da esorcizzare. E se invece fosse un primo segnale di ripiegamento dopo la scorpacciata dello scudetto? La pancia piena, è noto, non fa bene alle gambe. Se vincere un titolo è un'impresa, rivincerlo lo è due volte. Ecco il primo vero esame per Garcia. La pressione passa su di lui. Si vedrà di che pasta è fatto. Ora c'è la sosta azzurra. Il tecnico francese ha due settimane per uscire dall'angolo. Può essere un vantaggio, ma forse ripartire a botta calda sarebbe stato meglio.
I dolori di Mourinho, Special One anche nella crisi
Che succede alla Roma? Cosa capita al suo guru? Un punto in tre gare, con l'ultima desolante sconfitta con il Milan, fa male, molto male. Vero che gli infortunati sono tanti, e che Lukaku è appena arrivato. Però l'umore a Trigoria è bassissimo, come quello dei tifosi orfani di un allenatore, un tempo vulcanico, che non dà più segni di vita. Mou non parla, non commenta, sta chiuso in un cupo silenzio foriero di altri guai, di altre cadute. Abituati alle sue intemerate, ai suoi j'accuse velenosi, vederlo così spento è ancora più inquietante. Che cosa medita? Pensa già al suo contratto in scadenza a fine stagione? Un Mou quieto è un ossimoro che stimola pensieri negativi. Forza Pifferaio Magico! Fatti sentire, urla, strepita, insulta gli arbitri, trascina il popolo giallorosso contro qualche nemico vero o immaginario che sia. A Dybala si può rinunciare, ma non al Vate di Roma.
Qui si fa l’Italia : inizia la nuova era di Spalletti
A furia di parlare di Mancini e della sua poco patriottica fuga verso gli sceicchi, ci si stava dimenticando di Luciano Spalletti, da ieri sera a Coverciano con gli azzurri della sua prima Nazionale che sabato prossimo, in uno spigoloso debutto a Skopje, se la vedranno con la Macedonia del Nord. Un debutto spinoso (poi c'è l'Ucraina) sia perché il nuovo tecnico sale in corsa su una panchina scottante, sia perché gli avversari, per quanti meno strutturati di quelli che ci hanno escluso dai Mondiali, faranno di tutto per renderci la vita difficile. Ma al di là delle scelte tecniche (la conferma del 4-3-3 e di una rosa costruita sull'esperienza e sullo spessore internazionale) quello che ha maggiormente colpito di Spalletti, nella sua prima uscita pubblica, è stato il suo approccio emotivo, quasi sentimentale, sorprendente per un tecnico di 64 anni con un curriculum prestigioso culminato, pochi mesi fa, nella conquista del terzo scudetto del Napoli. «Non sarò il miglior allenatore possibile per la Nazionale, ma sarò sicuramente il miglior Spalletti possibile…», ha detto il nuovo c.t visibilmente emozionato facendo leva poi sul suo orgoglio di appartenenza che ha radici lontane. «Dopo il leggendario 4-3 dell'Italia sulla Germania a Messico '70 chiesi a mia madre di cucirmi una bandiera tricolore….». Una mozione degli affetti che ha raggiunto il suo culmine parlando della maglia : «Un giocatore della Nazionale la maglia azzurra non se la toglie mai. Dovrà restituire con i comportamenti l'onore che riceve vestendo questa casacca…». Al di là di una certa retorica risorgimentale («Mi sento un alpinista che piazza la bandiera sul Monte Bianco»), quello che però traspare dall'appello di Spalletti è una sincera emozione. Un'orgoglio di appartenenza, dopo le freddezze di Mancini, che può far solo bene a un gruppo in cerca di una nuova bussola. Vero che siamo stati esclusi dai Mondiali, ma siamo ancora campioni d'Europa. Non siamo leoni ma neppure asini. Insomma, un po' di sana autostima, dopo tante critiche, ci vuole, E Spalletti, leader carismatico, questo lavoro può farlo bene. E anche l'appello a comportamenti coerenti, è cosa buona e giusta. Come dire: amico mio, io ti chiamo in Nazionale, se però tiri indietro il piedino, o dici che sei troppo stanco e poi ritorni vispo e scoppiettante nel tuo club, bene allora con me hai chiuso. Ecco, in un mondo di narcisi seriali questo ci sembra un buon inizio. Non basta, certo, ma chi ben comincia, come dice il proverbio, è a metà dell'opera.
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