Il Mirazur di Mentone è il migliore ristorante al mondo. 2 italiani nella top 50
di Federico De Cesare Viola
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Quella dello scorso anno, a Bilbao, resterà probabilmente l'edizione più memorabile di sempre per i colori italiani, con Massimo Bottura per la seconda volta sul tetto del mondo e una rappresentativa azzurra ben piazzata alle sue spalle. Ma quest'anno, secondo il nuovo e discusso regolamento (annunciato già lo scorso anno), il leader maximo è entrato nella Best of the Best hall of fame e dunque era a Singapore fuori gara, rilassato e felice di passare il testimone – e come Osteria Francescana così gli altri vincitori delle passate edizioni della World's 50 Best Restaurants, tra cui El Celler de Can Roca di Girona e l'Eleven Madison Park di New York.
Così ieri sera l'Italia si è ritrovata improvvisamente ai confini dell'impero (gastronomico), con soli due nomi tra i 50: Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba, 29mo (con un tonfo dalla 16ma posizione) e Le Calandre dei fratelli Alajmo a Rubano, 31mo (ma era 23mo).
C'è però un po' d'Italia nella bella e meritata vittoria del Mirazur di Mauro Colagreco a Mentone, in Costa Azzurra, terzo lo scorso anno e quest'anno nominato il miglior ristorante del pianeta tra i favori dei pronostici. Lo chef argentino corona così un anno straordinario iniziato con la terza stella Michelin – primo chef non francese ad ottenere il massimo riconoscimento in Francia – e proseguito ora con il verdetto della classifica sponsorizzata da S.Pellegrino e Acqua Panna che per la prima volta vede vincitore un ristorante francese.
Mauro e Julia Colagreco, con tutto il loro team, hanno portato sul palco del Sands Theatre del Marina Bay quattro bandiere cucite insieme. Quella francese, naturalmente, che rappresenta quei valori - liberté, égalité, fraternité - che lo chef ha sottolineato nel discorso di ringraziamento durante la conferenza stampa: «Sono fiero di rappresentare un nuovo approccio della cucina francese che vive al ritmo di tutte le influenze del mondo. Io non sono francese ma ho fatto della cucina francese la mia grande passione». Poi quella argentina, patria e custode dei suoi ricordi d'infanzia. Quella brasiliana, nazionalità di Julia: «l'amore della mia vita». E infine quella tricolore, non solo per la vicinanza, ma soprattutto perché più della metà della brigata di cucina del Mirazur è italiana.
Una cucina di confine, ma senza confini geografici e culturali. In un mondo dove si costruiscono muri, quella di questo spettacolare ristorante della Costa Azzurra, chiuso tra il mare e le Alpi Marittime, rappresenta un inno alla diversità: «Credo nella mescolanza – ha proseguito lo chef – e nella combinazione e celebrazione di tutte le influenze. Sono felice di poter aprire la mia cucina a ispirazioni diverse. I confini sono luoghi che promettono incontri e scoperte. Quando li superiamo, i limiti non esistono più e abbiamo l'opportunità di sperimentare la libertà».
Un potente messaggio di inclusione in linea con quello, altrettanto incisivo, dello chef filantropo José Andrés, vincitore del nuovo premio American Express Icon Award perché sempre impegnato in prima persona – dall'uragano Maria a Porto Rico agli incendi in California – a portare la sua cucina solidale, capace di cambiare il mondo un piatto alla volta.
La classifica, 2 ristoranti danesi nella top 5
Torniamo alla classifica, frutto delle scelte di 1.040 votanti in tutto il mondo: secondo è il Noma di René Redzepi a Copenhagen, già diverse volte vincitore in passato (2010, 2011, 2012 e 2014) ma considerato una “new entry” dopo il cambio sede che nei fatti lo rende un nuovo ristorante. E questa classifica – ricordiamolo - premia le insegne e non gli chef. Terzo a sorpresa l'Asador Etxebarri ad Axpe (Spagna, più precisamente Paesi Baschi), che era decimo lo scorso anno, quarto Gaggan a Bangkok (+1 rispetto al 2018) e quinto Geranium a Copenhagen (era 19mo), con la Danimarca che vanta così due ristoranti nella top five. Dalla sesta alla decima posizione si piazzano rispettivamente il Central di Lima (stabile), Mugaritz a San Sebastián (+2), Arpege a Parigi (stabile), Disfrutar a Barcellona (+9) e Maido a Lima (-3).
La lista in totale include 26 diversi paesi del mondo, dato che fa capire quanto si sia allargata la mappa della gastronomia mondiale e quanto sarà sempre più difficile restare competitivi – senza una visione, una strategia e investimenti adeguati – al cospetto di paesi come la Spagna (leader con 7 ristoranti) e di destinazioni come la suddetta Copenhagen, Mosca (con due ristoranti nella top 20: il White Rabbit, 13mo, e Twins Garden, 19mo), Lima (con i già nominati Central e Maido) e le tante metropoli asiatiche, da Bangkok a Tokyo. La Francia piazza in totale 5 ristoranti: oltre al Mirazur sono l'Arpège (8), Septime (15), Alain Ducasse au Plaza Athénée (16) e Alléno Paris au Pavillon Ledoyen (25). Gli Stati Uniti contano 6 ristoranti nella lista, tra cui il Cosme (23mo), guidato dal The World's Best Female Chef 2019, Daniela Soto-Innes, e due nuove entrate: l'Atelier Crenn (35) e il Benu (47), entrambi a San Francisco.
Per i nostri colori è importante in ogni caso la presenza, nella lista estesa fino alla 120ma posizione, del Reale di Castel di Sangro al n. 51 (sceso però ingiustamente dalla 36ma posizione del 2018), di Uliassi a Senigallia al n. 61, di Lido 84 di Gardone Riviera al n. 78, vincitore del premio Miele One To Watch 2019 e del St. Hubertus a San Cassiano al n. 116.
Non è un segreto che per una classifica di questo tipo non basta – si fa per dire – cucinare benissimo ma serve anche saper tessere relazioni internazionali. «La 50Best – ha commentato lo stesso Niko Romito - offre una grande visibilità ai cuochi e questo è bellissimo perché questi sono eventi culturali e di scambio di conoscenze. Ma quando mi si dice che “è come la notte degli Oscar” io dico che lo è come tipo di evento, con la differenza che i giurati degli Oscar conoscono tutti i film che giudicano mentre quelli della 50 Best giudicano solo quelli che conoscono. Quindi più forza hai nel far conoscere la tua cucina più probabilità avrai di prendere il voto». In effetti succede che l'anno dopo che la 50 Best si presenta in un territorio (l'anno scorso sono stati i Paesi Baschi), nella classifica siano i cuochi che hanno il ristorante in quel territorio a poter emergere, proprio perché hanno avuto più probabilità di essere visitati dai giurati. «Sono consapevole di essere sceso in classifica – prosegue il cuoco abruzzese - ma la mia scelta è stata una scelta di dedizione alla mia azienda e questo ha comportato qualche perdita di visibilità sul fronte della 50 Best. Mi farebbe solo piacere che la stampa riuscisse a spingersi anche un po' più nel centro-sud Italia. Ne vale la pena».
Tra gli altri premi della serata a Singapore: il Westholme Highest Climber Award è stato assegnato all'Azurmendi di Larrabetzu (Spagna), capace di scalare 29 posizioni fino alla n. 14, il Den di Tokyo ai aggiudica l'Art of Hospitality Award, e Alain Passard dell'Arpège, icona parigina, è stato votato dai suoi colleghi come vincitore dello Chefs' Choice Award.
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