Il rapporto Ipcc

Il mondo pronto a fare i conti con la scienza del climate change

L’Ipcc sta mettendo a punto il rapporto che farà il punto sulla scienza del clima e sul riscaldamento globale:si limano le indicazioni politiche

di Elena Comelli

Reuters

3' di lettura

Gli scienziati e i diplomatici che compongono l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu stanno limando le ultime righe del loro prossimo rapporto, che sarà pubblicato lunedì 9 agosto. Si tratta di un’impresa ciclopica, che aggiornerà il consenso globale sulla scienza del clima per la prima volta dal 2013.

Per i 234 autori, il processo prevede la sintesi di oltre 14.000 studi e soprattutto l’approvazione dei 195 Paesi membri, ognuno dei quali potrebbe impedire che le conclusioni chiave appaiano nel “Summary for Policymakers”, la parte più popolare del rapporto.

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È successo così anche nel 2018, quando i Paesi esportatori di petrolio, in particolare l’Arabia Saudita, si misero di traverso all’ultimo momento per evitare l’uscita del rapporto speciale sul “Global Warming of 1,5°C”. Superato il blocco, quel rapporto innescò una vasta catena di conseguenze, dai movimenti di protesta dei Fridays for Future all’aumento dei prezzi del carbonio, fino alla diffusione di termini come “net zero”, che prima di allora nessuno conosceva.

L’aumento tra 1,5 e 2°C

Quasi tutto lo slancio che in questi tre anni ha mosso le azioni a favore del clima può essere ricondotto a quel rapporto, che è stato la diretta conseguenza dell’Accordo di Parigi del 2015, quando i Paesi firmatari si impegnarono a mantenere il surriscaldamento globale «ben al di sotto» di 2°C rispetto all’era pre-industriale, pur «perseguendo ogni sforzo» per limitarlo a 1,5°C.

Il rapporto del 2018 fornì ai Paesi firmatari la ricetta per ottemperare all’ambizioso impegno assunto a Parigi: è stata la prima volta che l’Ipcc - un’associazione di scienziati volontari che producono valutazioni tecniche - si è spinto anche sul terreno scivoloso delle indicazioni politiche.

Gli scienziati confermarono che le conseguenze di un aumento medio delle temperature di 2°C sarebbero significativamente peggiori di quelle provocate da un aumento di 1,5°C. E indicarono la ricetta: per limitare il surriscaldamento a 1,5°C bisognerebbe dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 ed eliminarle completamente entro il 2050.

Le indicazioni di policy del rapporto furono molto osteggiate dall’Arabia Saudita, che nelle ultime 24 ore minacciò di bloccarne l’uscita se non fosse stato rimosso ogni riferimento alle politiche climatiche dei governi nazionali e all’Accordo di Parigi da tutte le 616 pagine del rapporto. La delegazione saudita fu spalleggiata da quella egiziana, ma andò a sbattere contro le resistenze delle nazioni insulari di Saint Kitts e Nevis, Grenada e Marshall, spalleggiate da Belgio e Francia. Gli Stati Uniti, in uscita dall’accordo di Parigi sotto l’allora presidente Donald Trump, presentarono una dichiarazione ufficiale in cui chiarivano di non aver approvato il rapporto.

I piani di riduzione

Davanti a questa frattura, le regole dell’Ipcc impongono che le opinioni contrastanti siano registrate ufficialmente, ma gli scienziati hanno l’ultima parola e quindi nel rapporto furono menzionati sia l’accordo di Parigi che gli obiettivi climatici dei governi nazionali.

Da allora, il rapporto è diventato la Bibbia di attivisti, investitori e politici impegnati nella difesa del clima in tutto il mondo. La maggior parte dei grandi emettitori, dalla Cina agli Stati Uniti, si è impegnata su obiettivi di neutralità carbonica, ma al 31 luglio, il termine ultimo per la presentazione dei piani di riduzione delle emissioni, solo 110 avevano presentato piani all’Onu.

Le principali economie, tra cui Cina, India, Arabia Saudita e Sudafrica, devono ancora soddisfare i requisiti stabiliti dall’Accordo di Parigi. L’Arabia Saudita ha firmato l’Accordo di Parigi e vorrebbe essere vista come un facilitatore degli accordi globali contro l’emergenza climatica, ma rimane una voce scettica nella maggior parte dei forum internazionali e punta a trovare una soluzione che le permetta di continuare a vendere il suo petrolio.

Durante la sua presidenza del G20, l’anno scorso i funzionari sauditi sono riusciti a infilare l’espressione “economia circolare del carbonio” nel comunicato su energia e clima. Il concetto è introduce l’idea di consentire ancora di utilizzare combustibili fossili su base ridotta, purché ciò che emettono sia catturato e riciclato.

Contrasti da mascherare

Un grande successo per tutti i Paesi produttori di petrolio, su cui le compagnie petrolifere si basano per continuare a fare i propri affari all’infinito.

Le manovre diplomatiche in corso sul rapporto in via di pubblicazione non sono note, ma si può immaginare che vadano nella stessa direzione. L’Ipcc ha già messo le mani avanti, annunciando che «non è in grado di commentare le posizioni che i governi membri prendono nelle sessioni di approvazione dei suoi rapporti», come ha precisato un portavoce del gruppo.

Il testo finale sarà senza dubbio secco e tecnico, ma la terminologia scientifica e il fraseggio diplomatico non riusciranno a mascherare i contrasti estremi in corso attorno all’impatto sempre più evidente delle temperature in aumento.

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