Il Graffio del lunedì

Il Napoli frena l’Inter e la Juve cade a Bergamo

Il Milan rosicchia un punto alla capolista, mentre la squadra di Pirlo adesso deve guardarsi alle spalle

di Dario Ceccarelli

(AP)

4' di lettura

Mentre in Europa nasce una Superlega che spacca il calcio, nei periferici piani alti del campionato italiano tutto procede (quasi) come previsto. L'Inter, con qualche affanno, fa pari e patta col Napoli. La squadra di Conte voleva il pareggio: e il pareggio è arrivato. Riuscendo a riaggiustare, con un preciso sinistro di Eriksen, una partita che le stava sfuggendo di mano per un pasticcio di Handanovic su un cross non irresistibile di Insigne.
Un pareggio che non dispiace a nessuno. Pur interrompendo la striscia di 11 vittorie consecutive, l'Inter resta saldamente al comando con nove punti di vantaggio sul Milan. Ha preso due pali con Lukaku, pur subendo la maggior aggressività del Napoli, che però non va oltre una traversa di Politano. Per Rino Gattuso, sempre in silenzio stampa, è un buon risultato perché i partenopei restano in corsa per il quarto posto. E perché frenano la marcia della capolista.

Anche per il Milan, che ritrova il successo a San Siro con il Genoa (2-1), è una buona domenica. Non brilla, va in affanno dopo in gol iniziale di Rebic, però la squadra di Pioli consolida il secondo posto recuperando due lunghezze all'Inter. Tre punti preziosi, tenendo conto dell'assenza dello squalificato Ibra.

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Nuova caduta della Juventus a Bergamo

Tempi duri invece per la Juventus. Ogni domenica è sempre peggio. Dopo l'addio al decimo scudetto consecutivo, questa volta su Madama pende un nuovo oltraggio: il rischio di perdere anche il posto in Champions.

La sconfitta con l'Atalanta a Bergamo, per quanto di misura (all'88' gol di Manlinovskyi dopo sfortunata deviazione di Alex Sandro), dà un'ulteriore spallata alla precaria posizione dei bianconeri che adesso, a sette giornate dalla fine, si ritrovano in quarta posizione scavalcati dalla banda di Gasperini che, per aggiungere un'altra goccia di fiele, non batteva la Juventus da 20 anni.

Una domenica bestiale. Non tanto per come è scaturita la sconfitta (a decidere è stato un episodio sfortunato), ma perchè con questo ennesimo passo falso la Juventus vede frantumarsi il progetto di una intera stagione. Un progetto affidato a un allenatore esordiente come Andrea Pirlo che, in un anno di transizione, avrebbe dovuto traghettare la nobile società bianconera verso un futuro di magnifiche sorti e progressive. E invece, uscendo dal cielo della poesia, sono cavoli amari. Nulla è perduto per carità, un predellino per l'Europa magari in extremis verrà acciuffato, però quante ombre e quante complicazioni sul cammino della Juve. Non ultima la strana latitanza del fiero Ronaldo che, proprio in un'occasione così importante, si è sottratto al cimento adducendo come giustificazione un “sovraccarico ai flessori” che durava da una settimana per i troppi impegni accumulati con la nazionale portoghese.

Possibile? Era proprio obbligatoria la rinuncia di Ronaldo? E Pirlo? Non ha avuto nulla da dire? Un allenatore della Juventus non lo si giudica anche da come gestisce queste situazioni?

I numeri lo dicono chiaramente: 25 dei 61 gol bianconeri portano la firma di Cr7. Una “dipendenza” significativa. Ancor più significativa, quindi, la sua assenza in un confronto quasi da “spareggio” con l'Atalanta. In questo quadro fanno poi impressione le differenze di bilancio tra le due società. Due modelli opposti, per costi e obiettivi, che però in classifica quasi si equivalgono. La Juventus, pur avendo due punti in meno, ha quasi il triplo dei ricavi (406 contro 150 milioni), una rosa con il doppio del valore di mercato (678 contro 381) e un monte ingaggi da record (236 contro 47 milioni).

Un gap abissale che però non si traduce in una diversità di risultati. Non solo: mentre il bilancio dell'Atalanta è quanto mai solido (+26,4 milioni) quello della Juve annaspa con un passivo di quasi 90 milioni.

La Superega spacca il calcio

In questo quadro non idilliaco, si aggiunge l'esplosiva vicenda della “Superlega chiusa”. Di cosa si tratta? In breve dell'iniziativa di una dozzina di ricchi e potenti club europei che dal prossimo anno si muoverebbero, modificando coppe e campionati, per gestire al meglio i loro interessi. Questa Associazione, di cui Andrea Agnelli è vicepresidente, e appoggiata anche da Inter e Milan, ha annunciato un accordo per costituire una nuova competizione infrasettimanale, la Superleague, governata dai club fondatori. Una iniziativa però severamente bacchettata da Uefa, Fifa e dalle altre Federazioni europee.

«Resteremo uniti nei nostri sforzi per fermare questo cinico progetto, un progetto che si fonda sull'interesse di pochi club in un momento in cui la società ha più che mai bisogno di solidarietà», si legge in una nota congiunta dove si minaccia una multa esemplare (50 miliardi) contro tutte le squadre che vorranno separarsi dal sistema per crearne uno alternativo. Come ulteriore ritorsione, alle società ribelli sarà vietato giocare in qualsiasi altra competizione.

Siamo di fronte, insomma, a una specie di “guerra di indipendenza” che spacca il mondo del calcio in un periodo reso particolarmente difficile dalla pandemia e dai mancati introiti delle ultime due stagioni.

La morale? Che i ricchi giocherebbero sempre coi ricchi e i poveri sempre coi poveri. Un mondo chiuso. Da una parte le élites, dall'altra le società periferiche di seconda e terza fila. Un mondo chiuso per caste dove non conterebbe più il merito, criterio a cui il calcio e lo sport si sono sempre ispirati, ma il blasone e il fatturato. Un mondo dove la Juventus sarebbe sempre la Juventus. E l'Atalanta sempre l'Atalanta. Povera ma bella. E anche vincente. Ma non degna della Superlega europea.


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