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Il Napoli passa anche sull'Inter (3-1). L'addio di Spalletti:«Ormai è tutto deciso»

Come è bipolare il nostro calcio: sempre in bilico tra emotività e pianificazione, tra strategia e l'ipertrofico ego dei suoi protagonisti

di Dario Ceccarelli

Calcio, la Cremonese retrocede in B

5' di lettura

Cuore e batticuore. Affari e sentimenti. Bandiera e portafoglio. Ma come è bipolare il nostro calcio. Sempre in bilico tra emotività e pianificazione, tra strategia e l'ipertrofico ego dei suoi protagonisti.
Guardiamo la vicenda del Napoli, ieri vincente (3-1) anche sull'Inter. Ogni persona di buon senso, dopo uno scudetto così trionfale, direbbe: festeggiamo, godiamocelo e pensiamo al futuro. Squadra che vince non si cambia, si dice. E invece l'ormai sicuro divorzio tra Luciano Spalletti e Aurelio De Laurentiis, l'allenatore e il presidente, è sotto gli occhi di tutti, con detti e non detti peggio di quelli tra Totti e Ilary. In un labile confine tra orgoglio ferito e calcoli di bottega. Tra gelide pec e abbracci non dati. Tra cene formali e allusioni al vetriolo: «La libertà è un bene che non si può misurare. Non bisogna mai tarpare le ali a nessuno come nessuno deve farlo come me» sibila il presidente De Laurentiis.
«A me servono stivali, non ali» replica Spalletti, forse alludendo al sua amore per la campagna toscana. «Ormai è tutto deciso, ma aspettiamo ancora a dirlo» ribadisce dopo la vittoria sull’Inter.

Due galli in un pollaio, per restare in ambito campestre. Che vanno in rotta di collisione, dopo aver raggiunto la vetta, con scorno dei napoletani tutti. De Laurentiis, pur essendo un ottimo presidente, non ama chi gli toglie il centro della scena. Possono farlo i giocatori, gli idoli come Maradona, ma non gli allenatori. È un anaffettivo che bada al sodo. Spalletti è l'esatto contrario: un toscano di Certaldo, testardo, solitario, generoso ma anche permaloso se non gli riconoscono ciò in cui lui crede: il lavoro, l'umiltà, la sua indiscussa capacità di far giocare bene chi allena. Non a caso è arrivato allo scudetto soltanto a 64 anni. Non a caso guadagna meno (1,8 milioni) di tanti altri allenatori più paraculi e meno dotati. Più che altri soldi, Luciano vuole riconoscenza, affetto. L'unica cosa che De Laurentiis, freddo come un ghiacciolo siberiano, non potrà mai dargli.

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E quindi tanti saluti: ci siamo poco amati, ma non importa. A questo punto, scatta il piano B, quello in cui Mourinho è lo Special One: andar via, quando sei al top. Lasciare un buon ricordo e monetizzare. Così non c'è rischio di sbagliare, perché ripetersi è sempre difficile come insegna Allegri, sempre in bilico tra applausi e critiche, tra vittorie a “corto muso” e spettacolo che, come Godot, alla Juve lo aspettano sempre senza vederlo mai.

Juve: oggi la nuova sentenza

Forse arriva un'altra penalizzazione, questo sì. Molto probabile dopo il deferimento per la manovra stipendi, il nuovo filone di indagine sportiva sui conti della società bianconera. Oggi la Corte federale d'appello emetterà la nuova sentenza, che potrebbe compromettere (forse del tutto) la speranza di giocare tra i vip del calcio europeo. Con inevitabile ammanco alla cassa: almeno una settantina di milioni, che non sono pochi nel budget di una società colpevolmente travolta da una tempesta dove, come in tutte le vicende giudiziarie italiane, nessuno si raccapezza più.

L'Inter cade a Napoli

Dopo 8 vittorie di fila, l'Inter viene superata da un Napoli ben deciso a non concedere nulla nonostante lo scudetto già conquistato. Tanto più alla squadra di Inzaghi, unica in questo torneo a non aver ceduto ai partenopei. L'Inter può avanzare due parziali attenuanti: l'essere rimasta in dieci per una assurda espulsione di un poco lucido Gagliardini e poi l'ampio turn over praticato da Inzaghi in vista dei prossimi impegni (mercoledì finale di Coppa Italia con la Fiorentina; l'Atalanta a San Siro sabato 27; finale di Istanbul col City il 10 giugno). Se poi ci mettiamo un ragionevole di calo di adrenalina dopo il duplice successo nell'Euro derby, la frittata è fatta. Alla prima rete di Anguissa, i nerazzurri avevano pareggiato con Lukaku. Ma uno splendido sinistro all'incrocio di Di Lorenzo, arrotondato da un contropiede concluso da Gaetano, ha chiuso la sfida. Una tegola per l'Inter: la corsa alla Champions, con il Milan quinto a soli -2, si complica abbastanza. Difficile infatti che l'Atalanta, (-5 dall'Inter dopo il 3-1 sul Verona), venga a Milano solo per ammirare San Siro.

La Lazio passa a Udine (0-1)

Grazie a un rigore trasformato da Immobile, la squadra di Sarri torna al successo dopo una brutta striscia negativa (4 punti in cinque giornate). Un successo meritato, che poteva essere più sostanzioso, che permette alla Lazio di scavalcare l'Inter al terzo posto (a quota 68) e di consolidare -ormai è blindata- la sua posizione nella corsa per la Champions. La Juve, oggi a Empoli, la precede di un punto al netto naturalmente di nuove eventuali sanzioni.

La cinquina del Milan sulla Samp

Calma e gesso, direbbero i vecchi maestri. Dopo la mattanza con l'Inter, diciamo che questa vittoria (5-1) sui doriani era l'ultimo biglietto per l'Europa. Se questi 5 gol gli attaccanti rossoneri li avessero distribuiti anche nel derby, le cose sarebbero andate diversamente, ma insomma bisogna saper vedere anche il lato positivo. Per esempio che Giroud è tornato a segnare (addirittura una tripletta) dopo un lungo e inopinato digiuno. Maramaldeggiare sui deboli non è elegante, diciamolo. Ma la lotta per la Champions, si sa, non è un pranzo di gala.

Giro d'Italia: i big continuano a dormire

Ma che cosa bisogna dire di questo Giro d'Italia? Che in una tappa come quella di ieri a Bergamo, finalmente col sole e con migliaia di persone in festa, vede arrivare al traguardo un terzetto di volenterosi semi sconosciuti come l'americano Brandon McNulty (primo), l'irlandese Ben Healy (secondo) e il nostro tenace Marco Frigo, battuto per un soffio? Che cosa si può dire di un Giro che, dopo due settimane, vede ancora come maglia rosa un francese, Bruno Armirail, praticamente ignoto a chi non mastica pane e ciclismo? Bravo, certo, ma i big dove sono? E cosa fanno? Nulla o quasi.

A Bergamo, in questa scintillante tappa densa di salite e discese, i candidati alla vittoria finale (Thomas, Roglic e Almeida) sono stati al riparo, nella pancia del gruppo, ben protetti dai loro scudieri prima che, nell' ultima settimana, il gioco si faccia duro. Oggi infatti si riposa, ma già domani ci sarà il Bondone e poi la tripletta Val di Zoldo, Tre Cime di Lavaredo e Monte Lussari. Il trio dei big, a poco più di un minuto, intanto aspetta. Lima le forze. Fa i suoi calcoli col bilancino. Insomma, uno noia mortale.

Vero che in questo Giro è capitato di tutto: acqua, incidenti a catena, ritiri per covid, assurdi tagli di percorso anche col meteo clemente come in Svizzera. Però, tutto questo peloso tatticismo, questo lasciare la maglia rosa a un gregario che non ha mai vinto una corsa, non è un bello spettacolo. il ciclismo è un ‘altra cosa.

Come ben sa Felice Gimondi, che a Bergamo è di casa. “Poche chiacchiere e menare” avrà detto tornando di malumore nella nuvoletta dei campioni.


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