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Il Natale “made in jail”: quando la solidarietà aiuta a non delinquere più

Solo il 27% dei detenuti viene inserito in un progetto lavorativo, e la stragrande maggioranza lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Ma il lavoro è fondamentale per ricostruirsi una vita dopo il carcere: per questo si moltiplicano le iniziative solidali

di Francesca Milano

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3' di lettura

Che succede dopo il “fine pena”? Spesso per i detenuti il ritorno alla libertà porta con sé problemi di reinserimento lavorativo, anche perché il tempo passato in carcere non risulta “investito” nella formazione professionale: secondo i dati dell’associazione Antigone, al 31 dicembre 2018 su 59.655 detenuti complessivamente presenti nelle carceri italiane, i lavoranti erano solo 17.614, di cui 6.373 stranieri e 809 donne.

L’economia carceraria è ancora troppo piccola, ma il Natale è un buon momento per farla crescere: da Nord a Sud si moltiplicano le iniziative di prom0zione dei prodotti realizzati dai detenuti.

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È il “made in jail”, un’economia gestita per lo più da cooperative che danno lavoro ai detenuti con un duplice obiettivo: da una parte offrire occasioni di guadagno a chi vive in carcere, e dall’altra creare professionalità spendibili anche dopo il “fine pena”.

Ma come portare fuori dal carcere ciò che viene prodotto all’interno? Un esempio è il Consorzio VialedeiMille di Milano, che dal 2015 è diventato un punto vendita dei prodotti che arrivano dagli istituti penitenziali di San Vittore, di Bollate, di Opera ma anche di Palermo e di altre realtà più distanti. Il Consorzio è nato su iniziativa dell’assessore alle Politiche del Lavoro del Comune di Milano con l’obiettivo favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, dentro e fuori dal carcere.

«Non siamo solo uno spazio di vendita - spiega la presidente Luisa Della Morte - ma anche un luogo di incontro tra i cittadini e le cooperative che operano in carcere. A noi si rivolgono le cooperative che vogliono informazioni per attivare percorsi lavorativi con i detenuti, per esempio».

L’attivazione di queste collaborazioni è fondamentale perché in Italia la stragrande maggioranza dei detenuti (l’86,45%) che lavora è, in realtà, impiegata alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.

Dei detenuti impiegati, 15.228 risultano lavorare alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (pari al 86,45 %) e 2.386 alle dipendenze di altri lavoratori (pari al 13,55 %). All’interno della prima categoria, ben 12.522 sono impiegati nei servizi di istituto, 637 nelle lavorazioni, 249 nelle colonie agricole, 938 nella manutenzione ordinaria di fabbricati e solo 882 in servizi extramurari.

Tra coloro che non lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, i semiliberi impiegati in attività lavorative sono 661, di cui 39 lavorano in proprio e 622 per datori di lavoro esterni; 749 detenuti lavorano all’esterno ex art. 21, mentre lavorano in istituto ma per conto di imprese o cooperative rispettivamente 245 e 686 detenuti.

Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio di Antigone nel corso delle visite del 2018, sono ben 17 gli istituti (pari al 20%) in cui non ci sono lavoratori alle dipendenze di soggetti diversi dall’amministrazione.

Il Natale è per l’economia carceraria una boccata d’ossingeno: nei punti vendita del “made in jail” è possibile acquistare prodotti artigianali, manufatti, prodotti alimentari (birra, pasta, vino, conserve, biscotti e persino il pluripremiato panettone Giotto) che arrivano dagli istituti penitenziari.

«Non si tratta solo di fare un gesto solidale nei confronti di chi vive in carcere - spiega Della Morte - ma anche di aiutare i detenuti a costruirsi un futuro lavorativo». L’80% dei detenuti, dopo aver scontato la pena, torna a delinquere. La delinquenza in chi, invece, ha ricevuto una formazione professionale, è meno del 2 per cento.

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