Il Nobel della fisica all’informazione quantistica ha un storia anche italiana
Gli studi portati avanti dall’austriaco Anton Zeilinger hanno origine dalla collaborazione con l’Università di Padova e il Centro spaziale di Matera
di Leopoldo Benacchio
4' di lettura
Anton Zeilinger, il fisico austriaco dell'Università di Vienna ha avuto il premio Nobel 2022 per le sue ricerche di fisica quantistica, che trovano tante applicazioni nuove e importanti: la crittografia, nuovi computer ultraveloci e il trasporto dell'informazione grazie al fenomeno dell’entanglement, per cui due particelle partner, anche se distanti fra loro, sentono il cambiamento dello stato l'una dell'altra.
Premio Nobel atteso da tempo, come per gli altri due vincitori, il francese Alain Aspect e l’americano John Clauser, universalmente riconosciuto come meritatissimo e carico di promesse per le applicazioni che domani saranno rese possibili da questi studi di base.
Una parte importante delle ricerche sperimentali di Zeilinger ha una storia italiana di non poco conto. È interessante ripercorrere per sommi capi questa vicenda per capire due aspetti della ricerca scientifica: come funzionano a volte le collaborazioni scientifiche e come ricerche che, all'inizio e sulla carta, potrebbero sembrare di pura speculazione si dimostrano poi, per chi sa vedere un poco più in là, formidabili strumenti per l'innovazione futura.
La trasmissione delle informazioni in modo sicuro è infatti un campo fondamentale nella nostra vita anche di ogni giorno e l'informatica basata sulla fisica quantistica, un campo in cui stiamo in realtà muovendo i primi passi, ci promette trasmissioni a prova di qualsiasi hacker, così come lo sviluppo di computer completamente diversi dagli attuali che surclassano in velocità anche i più potenti sistemi di oggi.
Vent’anni fa esatti, Paolo Villoresi era un giovane fisico sperimentale, ricercatore dell'Università di Padova al Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e decideva di prendere la strada di Vienna per andare a parlare con Zeilinger, allora già noto e affermato. Gli era venuta un'idea: gli esperimenti di Zeilinger, regolarmente pubblicati su riviste scientifiche com’è giusto che sia in ambito accademico, erano molto convincenti, ovviamente, ma comunque si riferivano sempre all'ambiente di laboratorio.
Perché non provare a portarli all'esterno, anzi addirittura nello spazio, si chiese. «Secondo me eravamo davanti a una situazione tipica, che viene definita in genere “blue sky”, avevamo cioè davanti a noi un campo inesplorato».
Certo c'è incertezza e anche ci si prende un bel rischio a seguire strade non percorse già da altri, e Villoresi aggiunge un’annotazione che dovrebbe far riflettere, ossia che all'epoca avere un posto di lavoro garantito per compiere le sue ricerche fu una condizione fondamentale per poter provare quella strada.
Anton Zeilinger approvò l'idea del giovane ricercatore e si iniziò la collaborazione che avrebbe portato, nel 2008, al lavoro fondamentale sulla trasmissione quantistica in campo spaziale, che porta il nome anche di tanti altri italiani che oggi sono affermati professori in varie università, Villoresi in testa. Nel 2003 l'Università di Padova aveva nel frattempo assegnato al gruppo di Villoresi un finanziamento non troppo cospicuo, 65mila euro, ma sufficiente per portare avanti l'esperienza proposta.
Il progetto era ambizioso: «Volevamo dimostrare lo scambio di singoli quanti di luce da un satellite alla Terra, utilizzando lo spazio come una sorta di “autostrada” per le comunicazioni quantistiche», spiega Villoresi. Trattandosi di spazio il gruppo si forma cooptando degli astrofisici, sempre dell'Università di Padova e, tramite questi, si accede al Centro di Geodesia spaziale Giuseppe Colombo, dell'Agenzia spaziale italiana.
«Per fortuna abbiamo sempre tenuto il 10% del tempo di lavoro disponibile per ricerche di opportunità che eventualmente appaiono come fattibili e interessanti», aggiunge Giuseppe Bianco , direttore per vari anni del Centro di Matera che lavorò con il gruppo: Zeilinger, Villoresi e alcuni astrofisici guidati da Cesare Barbieri, dell’Università di Padova.
Il centro di Matera è dotato di un telescopio da 1,5 metri d’apertura dello specchio principale, disegnato per ricevere i segnali che vengono spediti da un laser verso i satelliti geodinamici che orbitano attorno alla Terra a migliaia di chilometri di altezza. In pratica si tratta di satelliti completamente passivi come il giapponese Ajisai, ortensia in italiano, usato dal gruppo di scienziati di cui stiamo parlando, che retro riflettono il segnale che arriva a loro da terra. Una sfera cosparsa di specchi riflettori in poche parole.
Servono per tenere d'occhio la forma della Terra, misurando costantemente la distanza del satellite. A Matera viene usato, al posto del laser consueto, un sistema ad hoc capace di spedire singoli fotoni, le particelle di luce.
Il lavoro di cinque anni alla fine dà il risultato cercato e, in mezzo a molto “rumore” dovuto ad altre fonti, i singoli fotoni spediti da Matera tornano al telescopio del Centro stesso e possono essere anche caratterizzati. È la riprova che si cercava fuori dal laboratorio e le strade dei singoli ricercatori si dividono, ma le ricerche continuano e anzi viene creato lo spin off ThinkQuantum fra il gruppo di ricerca dell'Università di Padova e Officina Stellare, azienda che costruisce telescopi tra i più avanzati e recentemente quotata in Borsa italiana all’Aim, specializzato in sistemi di comunicazione sicure.
Parte anche una branca di astrofisica quantistica, in cui si contano i singoli fotoni di luce che arrivano dagli oggetti celesti più distanti, che coinvolge anche il Telescopio Nazionale Galileo, alle isole Canarie. Mentre la ricerca continua quindi, indagando la relazione tra gravitazione e quantistica così come aspetti molto più pratici, come lo sviluppo di una rete Internet sicura oggi a Padova è attivo un Centro di Ricerca sulle Tecnologie Quantistiche, che raccoglie fisici, chimici, ingegneri e matematici.
Unico vero neo di questa bella avventura, che sicuramente riserverà altre soddisfazioni ai partecipanti, è il fatto che l'Agenzia spaziale europea non ha saputo cogliere al balzo questa opportunità tutta europea, appunto, bocciando la proposta di un satellite ad hoc avanzata dal gruppo una decina di anni fa.
In compenso un brillante fisico cinese, Jian Wei Pan, che è stato studente di Zeilinger, dopo aver lavorato qualche anno a Vienna con il premio Nobel fresco di nomina, è tornato a Pechino ed è riuscito a convincere chi di dovere a finanziare con mezzo miliardo di dollari un satellite dedicato alle comunicazioni quantistiche, che porta la Cina in vantaggio in questo delicato campo. Il vecchio continente a volte è molto miope.
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