Riaperture

Il nodo affitti pesa sui negozi dei big player: esclusi dal credito d’imposta

Dai punti vendita della catena Yamamay-Carpisa a quelli di Ovs, fino ai nove store Rinascente: il bilancio dei primi giorni di attività tra nuovi costi e ritorno dei consumatori per lo shopping

di Marta Casadei

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Ingressi contingentati, fornitura di disinfettanti e di guanti, distanziamento. Se la riapertura in sé per sé è stata una sfida, con le linee guida per la sicurezza ricevute 36 ore prima che il via libera diventasse effettivo, i negozi di moda sono chiamati ad affrontarne di più difficili e complesse: dall’intercettare il “risveglio” dei consumatori alla battaglia sul tema affitti.

Quest’ultimo è un nodo cruciale per le insegne che hanno più negozi, indipendentemente dal posizionamento del brand. Il credito d’imposta al 60% per gli affitti commerciali introdotto dal Dl Rilancio, infatti, è riservato agli esercenti con ricavi non superiori a cinque milioni di euro nel periodo d’imposta precedente: una misura che aiuta i piccoli, ma taglia fuori realtà come Yamamay, Ovs, Rinascente.

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«Il tema degli affitti è importantissimo – dice Gianluigi Cimmino, ceo di Pianoforte Holding, che controlla i marchi Yamamay e Carpisa, 1.200 negozi in totale in Italia – perché riguarda tutte le grandi catene: il credito d’imposta introdotto dal Governo non ci tutela. Noi al momento abbiamo ancora alcuni negozi chiusi e li riapriremo solo se le condizioni cambieranno».

Il bilancio a pochi giorni dalle riaperture cambia a seconda del posizionamento del negozio: «Dai punti vendita di vicinato, posizionati nelle località di provincia, abbiamo avuto una risposta positiva, mentre la sofferenza si nota sia nei flagship delle città d’arte o di Milano, e quindi di luoghi ad alto passaggio turistico, sia nei centri commerciali. Sembra quasi di aver fatto un salto indietro di 20-25 anni nella distribuzione», commenta Cimmino. Che individua «un flusso più basso di persone che entrano in negozio, ma uno scontrino medio che “tiene”. Per questo non ha senso fare sconti adesso».

Osservazioni simili sono quelle avanzate da Pierluigi Cocchini, ceo di Rinascente, il più famoso department store di fascia alta d’Italia con nove negozi in otto città: «Milano, Firenze e i due negozi di Roma hanno registrato una regressione sullo stesso periodo del 2019, ma ce lo aspettavamo: sono punti vendita molto frequentati dai turisti. Nelle altre città stiamo andando bene: i risultati sono inaspettati». Anche Cocchini segnala «afflussi decisamente più bassi: da 10-15 mila ingressi al giorno siamo passati a 3.500. Dovremo fare il punto tra un paio di settimane. Gli scontrini, però, sono più importanti». A un minore afflusso di clienti corrispondono, in questa fase post lockdown, una serie di ingenti costi.

«Una delle maggiori voci di spesa, in generale, è quella dell’affitto – precisa Cocchini –. Noi siamo stati fortunati perché i nostri landlord si sono dimostrati comprensivi e hanno accettato dilazioni di pagamento. Ma i negozianti, soprattutto se il Governo non prevederà incentivi per le aziende con fatturato oltre i 5 milioni, hanno bisogno di essere messi meno sotto pressione o di condividere parte di questa situazione con i proprietari degli immobili». A quello dell’affitto, si aggiungono nuovi costi da mettere a budget: «Finora abbiamo speso un milione di euro per mascherine, guanti e gel disinfettanti. Poi ci saranno tutti i costi per l’applicazione dei nuovi processi, dall’organizzazione degli spazi dedicati al personale fino ai controlli di sicurezza sui clienti». Che sembrano accettare di buon grado i protocolli attuati da Rinascente: «Il nostro motto è ognuno protegge tutti», chiosa il ceo di Rinascente.

Anche i negozi Ovs hanno implementato una severa routine per i clienti post Covid: mascherina, guanti monouso da infilare prima dell’ingresso e misurazione della temperatura. E nei primi giorni di apertura i risultati sono positivi: «Il flusso di clienti si è ridotto, ma il tasso di conversione, il rapporto tra persone che entrano in negozio e quelle che comprano, è molto più alto, così come gli scontrini: in valore assoluto vendiamo più dello stesso periodo dello scorso anno», spiega Stefano Beraldo, ceo di Ovs. Il quale, però, precisa: «Credo che il trend sia espressione di un effettivo bisogno di nuovi capi più che di un ritorno della voglia di consumare. La voglia ci sarebbe anche, ma i soldi mancano».

Anche secondo Beraldo uno dei temi chiave del momento è quello degli affitti: «La misura contenuta nel Dl Rilancio è deludente perché penalizza i grandi gruppi senza ragione: il mio auspicio è che la percentuale del credito d’imposta venga abbassata, ma la platea dei beneficiari includa imprese con fatturati sopra i 5 milioni di euro. Poi ognuno avvierà una trattativa privata con il proprio landlord, ma ci deve essere un incentivo comune per ripartire». L’alternativa è la chiusura dei punti vendita: «A livello generale – chiosa l’ad di Ovs – noterà che tutti i negozi stanno riaprendo, perché hanno merce già in negozio o già ordinata: il vero banco di prova sarà la primavera del 2021».

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