Il paesaggio del cuore
Terremoti, alluvioni, degrado. Il nostro Paese si scopre sempre più fragile. Così aumentano i casi di aziende e privati che, sposando una forma molto concreta di filantropia, si sostituiscono alla mano pubblica. Come un pronto soccorso per l'Italia. E forse anche per la salute del pianeta
di Serena Uccello
6' di lettura
Se l'Italia la si potesse guardare dall'alto e con lo sguardo consapevole – consapevole per il fango che divelle, per l'acqua che sommerge o per la solitudine che abbandona – ecco se si potesse fare questo, l'immagine sarebbe quella di un paesaggio slabbrato e cedevole, offeso. Malato, come lo definiva Salvatore Settis che, in un saggio pubblicato nel 2010 (Paesaggio, Costituzione, cemento, Einaudi), scriveva: «Il paesaggio è il grande malato d'Italia. Basta affacciarsi alla finestra».
Lo studioso mirava alle colpe degli uomini e pensava soprattutto al cemento. «Vedremo villette a schiera dove ieri c'erano dune, spiagge, e pinete, vedremo mansarde malamente appollaiate su tetti un giorno armoniosi, su terrazzi già ariosi e fioriti. Vedremo boschi, prati e campagne, arretrare ogni giorno davanti all'invasione di mesti condomini, vedremo coste luminose e verdissime colline divorate da case incongrue e “palazzi” senz'anima, vedremo gru levarsi minacciose per ogni dove. Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili colate di cemento», scriveva. Ma se le cause di questa malattia sono plurime e i batteri di origine diversa, la cura è ormai più urgente della diagnosi. E allora l'uomo che è patologia può diventare medicina, declinando così una diversa filantropia. Filantropia come passione civile, come cura del territorio.
Brunello Cucinelli, Diego Della Valle, Massimo Valsecchi sono gli esempi più noti di questo appassionamento. A Della Valle e al suo progetto di intervento per il restauro di una parte del Colosseo si deve, forse, l'aver divulgato in Italia un ampio dibattito sul mecenatismo moderno. Ma non meno suggestivo è stato l'impegno di Cucinelli per il recupero a Norcia della Torre Civica, del Teatro e del Museo della Castellina, danneggiati dal terremoto del 2016. O anche il progetto di Massimo Valsecchi per il recupero di Palazzo Butera a Palermo, diventato “polmone” artistico della città, motore nel 2018 della manifestazione internazionale “Manifesta 12”.
Formule, diverse, ma ugualmente emblematiche di tre modi di vivere quello spirito di “cura” che è parte della nostra identità: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», recita, infatti, l’articolo 9 della nostra Costituzione. Lo conferma il fatto che queste storie non sono affatto isolate, sono solo le più note di un movimento diffuso.
Enrico Loccioni è nato 70 anni fa a Serra San Quirico nella Valle di San Clemente, nelle Marche. Qui, tra monasteri e campi in mezzadria, nasce lo spirito dell'impresa tecnologica che ha fondato nel 1968 con la moglie Graziella. Ed è forse per questa memoria che Loccioni decide di “adottare” due chilometri del fiume Esino. Adottare nel senso di bonificare e mettere in sicurezza gli argini. Costato tre milioni di euro, il progetto “2 km di futuro” ha infatti centrato più obiettivi: il fiume non è più una minaccia per i laboratori Loccioni, come era stato con l'esondazione del 1990, ed è tornato a essere una risorsa. Risorsa, in termini di sostenibilità energetica grazie all’energia prodotta da centrali micro-idroelettriche; risorsa per la comunità, con la realizzazione di una pista ciclabile; risorsa per la cultura, con la creazione del Ponte pedonale 2068, progettato dall'architetto Thomas Herzog e selezionato per la Biennale di Architettura di Venezia 2018. Dal fiume alla valle: risalendo un affluente dell'Esino, l'Esinante, si arriva all'Abbazia di Sant'Urbano. Queste mura dell'anno Mille con i loro duecento ettari di terreni sono il cuore di un programma di rivitalizzazione della Valle di San Clemente. Rinascita che è artistica, grazie alla tutela dell'Abbazia affidata dal Comune di Apiro al gruppo Loccioni per quindici anni, ma anche produttiva e sociale. In questi luoghi la minaccia si chiama abbandono. «Abbiamo distrutto l'agricoltura, quella buona, per un'industrializzazione che ha abbassato la qualità dei prodotti», spiega Loccioni. È dunque da questo vulnus che bisogna ripartire, immaginando una risposta che guardi alla rigenerazione dei luoghi e della comunità. In questo senso, allora, ha un significato più ampio il progetto “Smart Land” che coinvolge i giovani della valle anche nella coltivazione di una specie di grano coltivata in passato.
Da Apiro a Scarperia sono 320 chilometri di curve e di A1. Questa è la spina dorsale dell'Italia, colonna fragilissima per origine geologica. «Il 20 maggio del 2012, quando il terremoto ha tirato giù tutto, ero in Inghilterra. Sono rientrato e mi sono detto che dovevo costruire qualcosa, usando quello che noi produciamo», spiega Simone Bettini, che con i fratelli è a capo di ROSSS, azienda di famiglia che produce scaffalature metalliche. Bettini guarda le rovine di Amatrice e poi osserva le sue “torri” di metallo. La manifattura è costruzione, sono mani che piegano, così Bettini pensa alle case senza mura, alle strade polverizzate, alle scuole. Ma “voler fare qualcosa” non coincide con “riuscire a fare qualcosa”, spesso le difficoltà sono soverchianti: dall'assenza di informazioni alla difficoltà di trovare l'interlocutore giusto e l'intervento più adeguato. Bettini gira a vuoto fino a quando «non scopro attraverso Confindustria Firenze il programma per la gestione delle emergenze di Confindustria», ricorda. Ora quelle costruzioni di acciaio gli appaiono come la giusta anima di una scuola. Il progetto è importante e richiede più collaborazioni: «I miei fratelli mi hanno dato del pazzo». Ma il risultato di questa “follia” è una scuola per i ragazzi di Monte Urano in provincia di Fermo, sei classi per elementari e medie. «Con un’ideale continuità: la scuola è intitolata a don Lorenzo Milani, e Barbaiana si trova proprio a pochi chilometri da Scarperia», dice.
La voce di Elisabetta Gnudi Angelini, imprenditrice del vino e titolare delle aziende Caparzo e Altesino, resiste all'assenza del segnale telefonico, sonora si impone ai vuoti delle gallerie. «Sto andando a ispezionare alcuni vigneti», dice, e intanto racconta il filo che lega le sue vigne, il suo vino, alla Chiesa di San Francesco ad Amatrice. Anche lei, infatti, fa parte di quel gruppo di imprenditori, visionari, che ormai da quasi trent'anni anima l'associazione Civita, una sorta di “pronto soccorso” del paesaggio ferito. «In questi anni con Civita abbiamo realizzato interventi incredibili», spiega. Civita, infatti, come Civita di Bagnoreggio, ovvero “La città che muore”: in questo caso la terapia ha funzionato talmente bene che Civita in questi anni è passato dall'essere borgo abbandonato ad attrazione culturale internazionale. E tra i tanti modi individuati per produrre “farmaci” c'è il progetto Vino Civitas. «Funziona così», spiega Gnudi Angelini: «Io cedo a Civita bottiglie del mio vino sotto costo e loro le rivendono con un piccolo ricarico: i proventi vengono utilizzati per un restauro». In questo modo, è stata recuperata la Chiesa di San Francesco ad Amatrice. Un modello, questo, che in altro contesto territoriale ha permesso a Marco Caprai delle cantine Caprai di sviluppare “Caprai4love” e così sostenere il restauro dei Grandi Francescani di Benozzo Gozzoli, del Museo San Francesco di Montefalco, in provincia di Perugia.
Si tratta di piccole cifre, «quindici o ventimila euro», aggiunge Gnudi Angelini, ma abbastanza per agire l'idea della partecipazione e della contribuzione collettiva che unisce una comunità. Come è, per esempio, accaduto a Paestum, dove oggi molti imprenditori del territorio sono diventati attivi finanziatori di porzioni di scavo o di restauro del parco archeologico. In questo luogo la malattia è la medesima che angustia gran parte del Meridione e si chiama degrado ambientale, sviluppo convulso, contaminazione criminale. Qui l'imprenditore Salvatore Pagano, dell'azienda agricola San Salvatore 1988, ha sostenuto l'intervento sul Tempio di Atena. Dice: «Se esistono le nostre attività è anche grazie al fatto che in questo luogo ci sono i Templi, c'è il Parco: restituiamo al territorio quello che il territorio ci ha dato». Pagano sottolinea anche un aspetto, forse secondario, ma altrettanto importante: il forte legame che questo richiamo ha creato tra tutti gli imprenditori della zona e il parco.
Dal Sud al Nord del Paese l'ultima mortificazione l'ha subita Venezia. L'alluvione del 13 novembre, oltre a danneggiare opere, case, negozi, ha messo a rischio il patrimonio librario della Fondazione Querini Stampalia: 35 metri lineari di miscellanee di fine Ottocento. Per salvarle è stato necessario “congelare” subito i testi: il congelamento è una tecnica che ferma lo sviluppo di funghi dannosi per la carta. Ed ecco che è intervenuta la Bofrost: l'azienda di surgelati ha messo a disposizione una cella frigorifera a Casale sul Sile, dove i testi sono stati subito conservati per poi venire trasferiti al centro di San Vito al Tagliamento per il recupero. Ancora una volta, i privati.
loading...