Il Paese delle 87 emergenze sul clima non fa prevenzione
L'italia a rischio vive di emergenze: stanzia (e spende) poco per prevenire
di Marta Casadei
4' di lettura
Molte emergenze, pochi fondi. E un timido tentativo di investire nella prevenzione. È questa la fotografia dell’Italia alle prese con i cambiamenti climatici: negli ultimi sei anni sono stati proclamati 87 stati di emergenza con danni riconosciuti per oltre 9,4 miliardi di euro. A fronte dei quali, però, gli importi trasferiti sono stati meno del 10 per cento. Negli ultimi 20 anni le Regioni hanno chiesto quasi 23 miliardi per prevenire il rischi idrogeologici. Ma il ministero dell’Ambiente ha erogato circa un quarto della cifra: 5,3 miliardi. Che non sono stati nemmeno spesi tutti: solo il 44% dei fondi, secondo il Laboratorio Ref Ricerche, ha finanziato progetti conclusi.
Il report «Dall'emergenza alla prevenzione: urge un cambio di paradigma», frutto dell'elaborazione di dati Ispra e Protezione civile, dipinge un territorio fragile - il 16,6% è mappato nelle aree di maggiore pericolosità di dissesto idrogeologico – nel quale ci si trova a ragionare soprattutto in chiave di risposta a una calamità. A molte, in realtà: tra il 1°maggio 2013 e il 13 maggio 2019 diciannove delle venti Regioni italiane hanno dichiarato almeno uno stato d'emergenza. E hanno chiesto, nel complesso, 11,4 miliardi di euro, di cui 9,4 sono stati riconosciuti come legittimi dai commissari.
Ad essere assegnati e trasferiti, tuttavia, sono stati poco più di 900 milioni.Tra le Regioni più colpite dalle emergenze (12 in sei anni) c'è l'Emilia Romagna, che ha chiesto 1,3 miliardi di euro, ottenendo (per ora) solo 112 milioni degli 1,1 miliardi di fabbisogno riconosciuto. Subito dietro, la Toscana: otto stati di emergenza proclamati e danni riconosciuti per 783 milioni, di cui sono stati assegnati e trasferiti poco meno di 94 miliardi. Per il solo stato emergenza dovuto al maltempo registrato nell'ottobre 2018, che ha coinvolto dieci Regioni e due Province autonome, Trento e Bolzano, sono stati stanziati 150 milioni di cui 102 già trasferiti al commissario delegato.
Secondo l'Anbi, associazione che rappresenta i consorzi di bonifica, di irrigazione e di miglioramento fondiario, investire in prevenzione costerebbe circa sette volte meno rispetto al costo di gestione delle emergenze, ma l'Italia ha ancora un approccio poco lungimirante: «I fondi impegnati sono inferiori rispetto al fabbisogno espresso dagli enti locali - spiega Andrea Ballabio di Laboratorio Ref Ricerche, tra gli autori del report - e si continua a ragionare in un'ottica più che altro emergenziale».
Negli ultimi 20 anni circa (dal 1999 al 2017) il ministero dell'Ambiente, infatti, ha risposto alla richiesta di fondi per la prevenzione - circa 23 miliardi di euro per oltre 8mila interventi- con una nuova iniezione di “soli” 5,6 miliardi (secondo la classificazione proposta dall'Ispra, che raggruppa atti e decreti in sei macro categorie) principalmente attraverso il Dl 180/1998 (varato dal primo Governo Prodi dopo l'alluvione di Sarno) e gli accordi di programma 2010-2011. La quota più nutrita dei finanziamenti è andata alla Sicilia (662 milioni), seguita da Lombardia e Toscana con, rispettivamente, 551 milioni e 567 milioni di euro. Ma,a livello nazionale, solo il 44% dei fondi - e quindi circa 2,4 miliardi - sono stati impiegati in progetti portati a termine. Il 15%, più di 800milioni, è stato destinato a progetti mai avviati o definanziati.
Tra le Regioni che avrebbero utilizzato i fondi nel modo meno efficace c'è la Liguria, dove meno del 20% del denaro stanziato nel periodo (439 milioni, di cui, tuttavia, 315 milioni arrivati con il Piano stralcio aree metropolitane 2015-2020) sono stati impiegati in progetti terminati. «Negli ultimi abbiamo invertito la tendenza - spiega Giacomo Giampedrone, assessore all'ambiente della Regione Liguria - essendo cresciute le emergenze, da un lato, e la sensibilità degli enti locali dall'altro. E continuiamo su questa strada: a settembre lanceremo il bando di gara per lo scolmatore del torrente Bisagno, un appalto del valore di 204 milioni».
Secondo Giampedrone «quando ci sono le emergenze i fondi arrivano, come è successo per l'alluvione del 2018; il nodo vero sono gli stanziamenti per la progettazione. Il piano ProteggItalia, per esempio, ha previsto solo 10 milioni per la Liguria: risorse insufficienti, considerando servirebbero 50 milioni per chiudere il programma strutturale». Il ProteggItalia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 aprile scorso, ha stanziato 11 miliardi di euro per il triennio 2019-2021, con tre miliardi destinati a interventi già eseguibili nell'anno in corso.
«Il Piano non stanzia fondi sufficienti per la prevenzione - continua Ballabio di Laboratorio Ref Ricerche - perché circa tre degli 11 miliardi di euro complessivi sono dedicati alle emergenze e quasi tutti sono già stati assegnati dalla Protezione Civile per le calamità dell'autunno 2018. I fondi realmente destinati al ministero dell'Ambiente per la prevenzione sono quattro miliardi per il periodo 2019-21 a cui si aggiungono 900 milioni di euro a triennio da qui al 2030».
Tra le Regioni che, secondo le elaborazioni di Laboratorio Ref, risultano aver impiegato la totalità dei fondi ( limitati: solo 38 milioni in 20 anni, assegnati principalmente col decreto del 1998) in progetti già compiuti spicca il Trentino-Alto Adige, formato, di fatto, dalle province autonome di Bolzano e Trento. Due province nelle quali la cultura della prevenzione è radicata: «I sistemi organizzativi delle due Province, sia per la gestione della prevenzione si per la gestione dell'emergenza, hanno radici comuni e un simile assetto organizzativo, oramai rodato e mantenuto efficace nel tempo - spiega Giulia Zanotelli, assessore all’Agricoltura, foreste, caccia e pesca della provincia Autonoma di Trento -. La nostra provincia destina annualmente, con costanza e continuità, quasi 40 milioni di euro ad interventi per la messa in sicurezza del territorio, degli alvei, dei versanti e del patrimonio forestale che interessa circa il 63% del territorio».
La consapevolezza dell’essere esposti a un rischio, dunque, è il punto di partenza: «Fermo restando l'impegno volto a mantenere alta la guardia ed in efficienza il nostro sistema organizzativo, siamo chiamati a convivere, in particolare come territorio di montagna, con un rischio residuo che richiede una corretta pianificazione urbanistica e adeguati investimenti in informazione e formazione per sviluppare sempre più senso di responsabilità ed una corretta cultura di relazione equilibrata con il territorio», chiosa Zanotelli.
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