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Il Pakistan è sull’orlo del default e chiede il salvataggio all’Fmi

Difficile un accordo: il Paese penalizzato da una situazione politica instabile, dal tetto dei prezzi e dai sussidi sui carburanti

di Riccardo Sorrentino

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3' di lettura

Un prestito per ripagare i debiti. È questo che il Pakistan chiede al Fondo monetario internazionale: evitare il secondo default del paese. Un accordo, però, sarà molto difficile.
La necessità del prestito non è un fatto nuovo: il Pakistan è da tempo in difficoltà finanziarie e ha chiesto e ottenuto l’assistenza dell’Fmi già nel 2019, quando è stata attivata una Extended Fund Facility da sei miliardi di dollari, dei quali tre sono stati effettivamente versati. La prossima tranche, da 900 milioni di dollari, è però a rischio.

Il Fondo monetario ha verificato e riconosciuto i «considerevoli progressi» compiuti dal Paese nell’applicazione del piano di riforme concordato, sia nel contrasto all’inflazione - il 23 maggio i tassi sono stati portati dal 12,25% al 13,75%, contro un’inflazione salita ad aprile del 13,4% - sia nella riduzione del deficit fiscale.

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Non basta, però. Non al Fondo monetario internazionale, che continua a sottolineare la «deviazione» dal programma concordato voluta dal governo di Islamabad: l’introduzione di un tetto ai prezzi, e quindi di sussidi sui carburanti, peraltro molto diffusi nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo. «Quando alzeremo i prezzi sui carburanti l’accordo sarà concluso. Abbiamo lavorato a uno schema di intesa», ha detto una fonte pachistana alla Reuters, riferendosi a uno dei colloqui periodici che si è tenuto tra il 18 e il 26 maggio.

I sommovimenti politici

Abrogare i sussidi, soprattutto in questa fase, non sarà facile. Sono stati introdotti dal primo ministro Imran Khan, l’ex giocatore di cricket che è stato sfiduciato il 10 aprile dall’Assemblea nazionale ma che conserva larghi consensi tra la popolazione. Il suo partito, il Pakistan Tehreek-e-Insaf, vicino alle posizioni dei talebani, è il maggiore del paese, con il 31,8% dei voti nel 2018: ha 149 seggi nell’Assemblea, su 342, ma la coalizione a cui ha dato vita non ha tenuto. Ora il governo è guidato dall’ex leader dell’opposizione Shehbaz Sharif, ma anche per lui non è facile abrogare i sussidi. Anche perché Khan mantiene alta la tensione sociale, chiede le elezioni, riempie le piazze: ieri i suoi sostenitori hanno inscenato una lunga “marcia su Islamabad” contro la quale il governo ha schierato l’esercito: partita da Peshawar, la manifestazione ha proseguito per Lahore per poi raggiungere ieri la capitale. Khan ha raggiunto i suoi sostenitori in elicottero.

Non può sorprendere allora che il ministro delle Finanze Miftah Ismail abbia annunciato lunedì scorso, mentre la delegazione dell’Fmi era già al lavoro, che i sussidi non sarebbero stati abrogati. «Non succederà, mi sono rifiutato. Shehbaz Sharif (il primo ministro, ndr) ha rifiutato. Vi assicuro - ha detto - che non sarà d’accordo con i termini concordati da Shaukat Tarin», il ministro delle Finanze di Khan.

Il problema dei prezzi dell’energia

È un vero e proprio stallo, reso più aspro dall’aumento dei prezzi dell’energia causato dall’invasione russa dell’Ucraina. Il Fondo monetario però non demorde, lasciando il governo del Pakistan in una situazione molto difficile. «È un accordo che precede la situazione in Afghanistan, che precede la guerra in Ucraina e le attuali tendenze dell’economia. Sarebbe importante per il governo del Pakistan rinegoziare l’accordo», ha detto al Financial Times, a Davos, il ministro degli Esteri Bilawal Bhutto Zardari, che pure ha riconosciuto la necessità di riportare ordine nella politica fiscale e monetaria del paese.

Riserve valutarie per soli 10 miliardi di dollari

I finanziamenti del Fondo sono fondamentali per il Pakistan: le riserve valutarie della Banca centrale sono scese a 10 miliardi di dollari e coprono soltanto due mesi di importazioni, meno dei tre mesi considerati - da una regola puramente empirica, pragmatica - il minimo per garantire la sostenibilità. A gennaio erano 17,4 miliardi, il massimo da quattro anni e mezzo.

Non ha funzionato il blocco delle importazioni di tutti i beni di lusso e non essenziali. Il deficit corrente, nei primi dieci mesi dell’anno fiscale 2021-22 è salito a 13,8 miliardi di dollari, contro i 543 milioni di un anno fa, malgrado un forte aumento delle rimesse dall’estero. Il totale del debito estero del paese è superiore ai 100 miliardi di dollari al cambio attuale.

Rupia in forte calo

I timori degli investitori hanno fatto scattare un flusso di capitali in uscita che hanno spinto verso il basso la rupia, calata del 9% da inizio aprile: la mancata intesa con l’Fmi ha portato giovedì 26 il cambio ai minimi storici, a quota 202,01 per un dollaro.

Pesa molto il precedente dello Sri Lanka, che il 18 maggio ha dichiarato default dopo aver mancato il pagamento di 78 milioni di dollari di interessi sul debito, malgrado una dilazione di 30 giorni. L’isola ha un debito estero pari a 50 miliardi di dollari.

Il Fondo monetario internazionale, preoccupato per «l’impatto della crisi sulle persone, in particolare i poveri e i gruppi vulnerabili» sta trattando per un accordo con le autorità di Colombo.

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