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Il parere Cnel: contratti collettivi più forti per garantire il salario minimo

Il testo suggerisce di guardare ai livelli previsti negli accordi più diffusi anziché a un importo fissato dalla legge per avere retribuzioni adeguate

di Giorgio Pogliotti

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Un piano d’azione nazionale affidato al Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) per supportare la contrattazione collettiva, con una legislazione di sostegno che consenta di superare le situazioni di criticità.

Il documento del Cnel sul salario minimo

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È al salario minimo contrattuale – o meglio al salario “giusto” che fa riferimento il documento elaborato dal Cnel, intendendo come tale il salario che garantisca una retribuzione «proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro» e «in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa» come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione.

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Il testo di 41 pagine, intitolato «Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia», ha avuto il consenso dell’80% dei componenti della Commissione informazione ed è stato inviato ai 64 membri del Consiglio che si pronunceranno nell’assemblea plenaria del 12 ottobre, nel rispetto dei tempi previsti. Lo scorso 11 agosto, infatti, la premier Giorgia Meloni aveva incaricato il Cnel, presieduto da Renato Brunetta, di redigere in 60 giorni un documento con analisi e proposte in tema di salario minimo, tema che dal 17 ottobre sarà all’esame dell’Aula di Montecitorio.

La preferenza, dunque, è per i minimi salariali contrattuali esigibili piuttosto che per l’introduzione di una soglia di salario minimo legale (che andrebbe a incidere in settori deboli dove magari c’è una contrattazione fragile, con il rischio di spingerli verso il sommerso). Per il documento del Cnel occorre affermare il principio dell’adeguatezza del trattamento retributivo attraverso lo sviluppo del sistema della contrattazione collettiva. Il piano di azione – con un arco attuativo pluriennale – potrebbe essere anche un utile contributo a Governo e Parlamento per riorientare in modo selettivo le risorse a sostegno della contrattazione collettiva, dell’occupazione di qualità, del welfare aziendale, della bilateralità.

Per avere un’esatta fotografia della contrattazione nazionale di categoria c’è l’archivio dei contratti del Cnel, che consente di individuare i contratti collettivi più diffusi e applicati, in modo da definire i perimetri contrattuali. Contro i contratti “pirata” e la proliferazione di contratti collettivi, si propone un intervento legislativo a sostegno della contrattazione collettiva di qualità incentrato proprio sull’individuazione dei contratti collettivi più diffusi per ogni settore, condizionando la registrazione nell’archivio nazionale dei contratti e l’assegnazione del codice alfanumerico unico dei Ccnl al rispetto dello standard di trattamento economico e normativo di questi contratti. A ciò andrebbe condizionato anche il riconoscimento dei benefici economici e normativi.

Il documento sottolinea che il lavoro povero riguarda soprattutto lavoratori temporanei, parasubordinati, finti autonomi, lavoratori occasionali, stagisti, lavoratori con mansioni discontinue o a tempo parziale involontario. Per questi soggetti la proposta è di introdurre una tariffa tramite contrattazione, eventualmente sostenuta da una normativa di sostegno, parametrata sugli indicatori della direttiva europea 2022/2041 sui salari minimi adeguati, o comunque interventi legislativi ad hoc funzionali a incrementare il numero di ore lavorate nell’anno.

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Per gli stagisti, in particolare, viene sottolineato l’attuale vuoto legislativo e si propone di ripristinare il contratto di inserimento, valorizzando l’apprendistato nella dimensione di raccordo tra sistema formativo e mercato del lavoro.

Per superare le aree di criticità in alcuni settori economici, la strada indicata è prevedere misure ad hoc di contrasto al lavoro povero, di sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie, di contrasto al sommerso, di gestione delle gare pubbliche al massimo ribasso. Sul lavoro domestico e di cura poi, il salario minimo legale per il Cnel darebbe luogo a un incremento del lavoro nero. Nel medio e lungo periodo, si propone un piano nazionale di sostegno alla famiglia, all’invecchiamento attivo e alla non autosufficienza.

Tra le proposte operative, considerando che la crescita dei salari dipende dalle dinamiche della produttività, l’idea è di individuare nel Cnel la sede del National Productivity Board per l’Italia, la cui istituzione è raccomandata dal Consiglio della Ue, per valorizzare il contributo dei corpi intermedi nel controllo delle dinamiche retributive, legandole alla produttività. Inoltre per agevolare l’azione dei servizi ispettivi e della magistratura a tutela dei lavoratori, si propone un intervento normativo per chiarire che, nella determinazione del trattamento retributivo in linea con l’articolo 36 della Costituzione, il giudice faccia riferimento non solo al minimo tabellare, ma al trattamento economico complessivo, in applicazione dei contratti collettivi più diffusi.

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Infine, al leader della Cgil, che ha accusato il Governo di aver subappaltato al Cnel la proposta sul salario minimo invece di affidarsi al confronto con il sindacato, ieri ha risposto lo stesso Brunetta: «All’amico Landini – ha detto – concordo e ricordo: la via maestra è la Costituzione. Secondo l’articolo 99 della Costituzione, il Cnel è organo di consulenza delle Camere e del Governo, ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge».

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