Il passo di lato di Renzi, che già guarda oltre il Terzo polo di Calenda
L’ex premier: «Non lascio, ma raddoppio, tra il sovranismo della Meloni e la sinistra radicale di Schlein e Conte c’è una maggioranza silenziosa che è arrivata anche al 40%». Europeismo, garantismo e attacchi al Pd schleiniano i temi della nuova sfida giornalistica
di Emilia Patta
I punti chiave
- Calenda tira un respiro di sollievo, ma non troppo
- La strategia di Renzi: oltre il Terzo polo
- Un occhio al dopo Berlusconi e un occhio all’evoluzione del Pd
- «Tra Meloni e Schlein-Conte maggioranza silenziosa del 40%»
- La ricetta: europeismo, garantismo e attacchi al Pd di Schlein
- «Non lascio ma raddoppio», altro che addio alla politica
4' di lettura
Per capire dove porterà questa nuova avventura del vulcanico Matteo Renzi, già segretario del Pd dal 2013 al 2018 e premier dal 2014 al 2017, poi creatore di Italia Viva e promotore dell’unione con Azione di Carlo Calenda, è utile partire proprio dal leader del costituendo Terzo polo. «Renzi che va a fare il direttore del Riformista? È coerente con la sua scelta di occuparsi di cose culturali e di business, di fare un passo indietro dalla politica. Secondo me lo farà molto bene», commenta Calenda con i suoi. E ancora, questa volta in tv: «Renzi già da tempo non è negli organismi direttivi del Terzo polo, ha fatto un passo indietro. L’aveva promesso e l’ha fatto, fine. È nei fatti. Ha rispettato una promessa fatta agli italiani».
Calenda tira un respiro di sollievo, ma non troppo
In realtà la promessa Renzi l’aveva fatta quando era ancora a Palazzo Chigi («Se non passa la riforma del Senato al referendum lascio la politica»), e nel frattempo si è ricandidato alla guida del Pd vincendo le primarie del 2017, ha fatto la scissione fondando Italia Viva, ha permesso la nascita del Conte 2 e ne ha poi decretato la morte spalancando le porte di Palazzo Chigi a una personalità come Mario Draghi. Ma il punto è che Calenda può da una parte tirare un sospiro di sollievo, dal momento che l’ingombrante compagno di partito ha fatto una scelta che conferma che non vuole insidiargli la leadership del costituendo partito unico («Di candidati leader vedo solo Calenda, io non sono della partita, l’ho detto dal primo giorno», ha chiarito lo stesso Renzi dopo l’annuncio dell’avventura al Riformista); dall’altra resta in allerta perché la scelta di Renzi non cancella ma rimanda solo il redde rationem interno.
La strategia di Renzi: oltre il Terzo polo
Già, perché l’ex premier ha capito da settimane che al momento l’orizzonte del Terzo polo non sfonda la soglia del 10%. Al netto dei risultati molto deludenti dei voti regionali (Lombardia, Lazio e da ultimo Friuli Venezia Giulia), anche nei sondaggi nazionali si è rimasti attorno all’8% circa raccolto alle elezioni politiche del 25 settembre. Renzi non lo dice pubblicamente ma addebita in parte allo stesso Calenda la responsabilità del mancato sfondamento. E resta a guardare. Il progetto politico resta vivo, come lui stesso ha ribadito nella conferenza stampa convocata per annunciare la novità dell’avventura giornalistica («Io ci credo davvero al Terzo polo e sarò leale collaboratore»), ma non è detto che resterà viva la leadership («Al momento di candidato vedo solo Calenda, a cui tocca il compito di gestire questa fase, se ne arriverà uno alternativo o più di uno lo comunicheremo agli interessati»).
Un occhio al dopo Berlusconi e un occhio all’evoluzione del Pd
Da qui a quando si voterà, tra quattro anni, sono molte le variabili politiche. Intanto ci sarà il dopo Berlusconi, con la possibile migrazione della parte più moderata e liberale di Forza Italia, e il prevedibile sgonfiamento del consenso per la premier Giorgia Meloni alle prese con il duro lavoro del governare. E soprattutto, nell’ottica di Renzi, va tenuto d’occhio il Pd. Non è un mistero che l’ex premier avesse puntato sul riformista Stefano Bonaccini alle recenti primarie. Ma le famose “praterie” che avrebbero dovuto aprirsi con la vittoria di Elly Schlein e lo spostamento a sinistra dell’asse del Pd ancora non si vedono. Renzi è convinto che la neo segretaria dem andrà a sbattere e che comunque un pezzo consistente del suo vecchio partito guarderà altrove, ma ci vuole appunto del tempo.
«Tra Meloni e Schlein-Conte maggioranza silenziosa del 40%»
Per questo Renzi ci tiene a sottolineare che i lettori-elettori del “suo” Riformista non coincidono con il piccolo mondo del Terzo polo. «Credo che il Riformista debba andare oltre il Terzo polo, sarà letto da una parte della maggioranza, il centrodestra riformista, e dall’area del Pd che non si riconosce nella Schlein - chiarisce -. Sarà un giornale libero. Nello spazio mediano tra il sovranismo della Meloni e la sinistra radicale di Schlein e Conte c’è un mondo di maggioranza silenziosa che è arrivata anche al 40%». Quando leader del Pd e premier era lui, ovviamente, alle ormai lontane europee del 2014.
La ricetta: europeismo, garantismo e attacchi al Pd di Schlein
Se insomma la casa politica dei riformisti stenta a prendere forma e il partito unico Italia Viva-Azione nascerà solo alla fine dell’anno anche per volontà dello stesso Renzi, visto che Calenda avrebbe voluto procedere più spedito, intanto si può costruire una casa culturale di riferimento. Che darà battaglia sui temi dell’europeismo e del garantismo e che, c’è da scommettere, avrà proprio la neo segretaria del Pd Schlein nel mirino per il suo presunto schiacciamento sul M5s di Giuseppe Conte e sulle sue bandiere (dal lavoro al reddito di cittadinanza, dalla politica della spesa pubblica all’ecologismo “ideologico”).
«Non lascio ma raddoppio», altro che addio alla politica
Nessun abbandono della politica, insomma. Anzi. Semmai un passo di lato rispetto al Terzo polo calendiano, passo di lato utile nel caso in cui Calenda dovesse fallire. «Sarò direttore per un anno, poi vedremo cosa fare da grandi. A chi mi chiede lasci, dico non lascio ma raddoppio, continuo il lavoro di parlamentare dell’opposizione», chiarisce Renzi. E per chi dovesse sollevare perplessità sull’opportunità che un politico con la sua storia diriga un giornale, ecco una risposta che scomoda due mostri sacri del centrosinistra: «Tanti parlamentari hanno fatto i direttori. Walter Veltroni era vicedirettore dell’Unità, Sergio Mattarella è stato direttore del Popolo».
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