Il patrimonio culturale dimenticato dell’Italia terremotata
Le città terremotate di Umbria, Lazio e Marche sono ancora borghi fantasma: c’è da rimettere le opere nelle chiese. Iter burocratici lenti. La direttrice del Museo diocesano di Camerino ci racconta l'Italia dimenticata dell’arte, ma qualcosa si salva
di Giuditta Giardini
5' di lettura
A pochi mesi dal 2022, le città tra Umbria, Lazio e Marche, arrampicate sull'Appenino, colpite dal sisma del 2016 sono città fantasma. La metà delle famiglie si sono trasferite più a valle, in centri più grandi, e con difficoltà faranno ritorno ai borghi montani; altre famiglie vivono in prefabbricati, container di emergenza, anche quando, dopo cinque anni, l'emergenza sembra sbiadita. I Carabinieri TPC nell'Attività Operativa del 2020 parlano ancora di messa in sicurezza e contenimento dei danni di 40 opere nel Lazio e 200 nelle Marche, ma i cittadini terremotati vogliono tornare alla normalità: vorrebbero palazzi, chiese e i musei aperti. Sono attivissime sul territorio le squadre di volontari di Legambiente, che tramite corsi di formazione - con quasi 200 partecipanti - recuperano e mettono in sicurezza edifici inagibili, come è stato fatto, di recente, con la biblioteca di Camerino (Macerata). Arteconomy ha intervistato Barbara Mastrocola, direttrice del Museo diocesano di Camerino e curatrice delle collezioni civiche e della mostra in corso “Camerino fuori le mura”, la prima nel cratere sismico di opere d’arte salvate dalle macerie del terremoto del 2016.
Com’è la situazione a Camerino?
La maggior parte degli edifici-pubblici e privati è tuttora inagibile, il centro storico di Camerino è ancora in parte zona rossa dal 2016. Per altri due o tre anni la diocesi non avrà una sede; abbiamo predisposto una sede temporanea. Lavoro sopra un banco di una scuola dal 2016, ma siamo tutti vivi, qui, ed è quello che conta davvero.
Qual è la situazione oggi dei beni mobili?
Le diocesi locali assieme alla Soprintendenza competente si stanno occupando delle opere delle città terremotate. A Camerino, per esempio, abbiamo all'incirca 6.000 beni mobili conservati in tre depositi diversi due a Camerino e un altro con circa 3.500 opere a San Severino Marche (Macerata) - nel Palazzo ex Scina Gentili - che grazie ad un finanziamento europeo per 1,3 milioni di euro diventerà il museo dell'arte salvata con le opere delle chiese inagibili. In questi mesi è stato avviato il cantiere e nella primavera del 2022 inaugureremo il museo. Altre opere sono state trasferite alla Mole di Ancona.
Ancona non è un po’ lontana per le opere di Camerino?
Sì, inizialmente, nella situazione di tremenda emergenza, la Soprintendenza aveva proposto una centralizzazione della maggior parte delle opere alla Mole Vanvitelliana di Ancona. Poi, tutti insieme, comunità e Soprintendenza comprese, abbiamo cercato di individuare una soluzione che consentisse di mettere le opere al sicuro, ma non troppo lontano dai luoghi di appartenenza. Per il futuro, visto che certi fatti in Italia accadono sovente tra terremoti e altre calamità, andrebbero strutturati dei protocolli che fissino proprio una procedura standard che muova, appunto, dal concetto di (opere) vicine e al sicuro.
Perché la Soprintendenza non ha pensato all'opzione più popolare?
Il primo pensiero è sempre quello giusto. L'importante, però, è essere aperti all'ascolto. Le istituzioni, e quindi anche le Soprintendenze, non sempre conoscono alla perfezione i territori secondo i criteri di curie e diocesi. Le Soprintendenze non hanno finanziamenti, non hanno abbastanza personale e non sempre sono messe nelle migliori condizioni per lavorare, con la conseguenza che a volte si finisce per non conoscere abbastanza il territorio. Diocesi, musei, unioni di comuni, comuni stessi e associazioni sono i primi profili di tutela oggi. Il segreto è stare sul territorio, bisogna essere presenti. Durante il terremoto e nel periodo immediatamente successivo, tanti erano presenti per una questione mediatica, per la visibilità, ma l'attenzione è sfumata rapidamente. La missione deve essere quella di rimettere le opere nelle chiese, è un lavoro duro, non è seguito mediaticamente. Bisognerebbe fare in modo che tutti, istituzioni per prime, siano messi nelle condizioni di essere presenti nei territori con un'attenzione fisica, destinerei inoltre direttamente dei soldi alle diocesi perché il loro modo di lavorare funziona: squadre diffuse nel territorio, non centralizzate. Se vuoi risolvere le problematiche legate a un’area devi conoscere bene, prima di tutto, il luogo. La Regione ha indetto gare e appalti a cui anche le diocesi, con molta difficoltà - perché siamo privati - riescono a partecipare.
Quali sono i tempi della ricostruzione?
Vorrei rispondere che saranno quelli promessi, ma temo ci vorranno vent'anni per riportare tutte le opere d'arte delle Marche ‘a casa'. È incredibile quante opere di pregio e chiese ci siano in questi paesi, oggi abbandonati e quanta difficoltà facciano i nostri parroci a essere presenti su un territorio, vasto e montano. A titolo esemplificativo vi dico solo che per esempio a Serravalle del Chienti c'è un parroco e 24 chiese. In una frazione di un comune montano puoi trovare 100 abitanti con 10 chiese e opere di De Magistris, Paolo da Visso e altri maestri. Il Museo diocesano di Camerino impiegherà 5 anni prima di riaprire le porte. Essendo la Diocesi, un istituto di diritto privato, possiamo bypassare alcuni passaggi previsti per gli enti pubblici, seguire un iter più snello, muoverci più velocemente, però alla fine dipendiamo dai tempi della pubblica amministrazione, molti dei fondi per rimettere in piedi gli immobili sono pubblici.
Di soldi stanziati ce ne sono?
Qualcosa si muove. Il MiC ragiona così: ‘la priorità è ripristinare l'edificio e restituire le chiese alle comunità e, poi, i soldi per le opere mobili, organi storici, affreschi...arrivano con canali ministeriali diversi e anche privati, certo poi ci sono anche i costi degli arredi. Per esempio, se per una chiesa ci sono 500.000 €, con questi possiamo ristrutturare e riscaldare una chiesa, ma non possiamo subito restaurare banchi e affreschi.
Lei parla di fondi pubblici, ma la CEI?
La CEI ha dato dei finanziamenti importanti. La missione della CEI era quella di riaprire per ogni città una chiesa.
Si può ricorrere all'Art Bonus? Funziona?
L'ArtBonus funziona, ma noi, come diocesi, non possiamo fare una richiesta, non possiamo accedervi, invece un privato può, ma deve riuscire a piazzare le opere nell'elenco, noi non possiamo farlo.
E la filantropia privata?
Esiste. San Venanzio, a Camerino, è stata già riaperta grazie ad un finanziamento privato. Anche con un risparmio notevole rispetto ai soldi che erano stati preventivati nell'iter ordinario: il privato ha speso 1,2 milioni di euro, mentre la Soprintendenza aveva messo in preventivo 4 milioni di euro. I tempi sono stati velocissimi, San Venanzio è aperta da questa estate, mentre i restauri degli edifici finanziati dal pubblico devono ancora partire, hanno finito ora di puntellare gli immobili.
Fortunatamente il sisma non ferma la cultura dei piccoli borghi, quello di Muccia (Macerata), una delle città marchigiane più colpite dal sisma, nelle giornate del 17-18-19 settembre, dalle ore 18:00, nell'ambito dell'iniziativa Festival MArCHESTORIE, ha organizzato un festival «Il Beato Illuminato», promosso dalla Regione Marche in collaborazione con l'Associazione Marchigiana Attività Teatrali (AMAT), l'Amministrazione Comunale di Muccia e la Fondazione Marche Cultura per il rilancio dei piccoli borghi colpiti dal sisma e quelli delle zone interne delle Marche. Alla fine di ognuna delle tre giornate è previsto lo spegnimento di tutte le luci pubbliche del borgo, segno tangibile di quella sostenibilità legata al tema energetico. Sempre a Muccia si trova l'Osservatorio nazionale per una ricostruzione di qualità promosso da Legambiente e la Fillea Cgil ed aperto ai contributi di tutte le forze sociali, del volontariato, del civismo, delle istituzioni che condividano le finalità di una ricostruzione pubblica e privata, residenziale e di impresa, di qualità avendo una visione unitaria e lungimirante per il futuro dell'area appenninica. L'Osservatorio monitora la ricostruzione ed introduce innovazioni ispirate dall'economia circolare, riduce l'impatto ambientale con il riuso delle macerie, promuove progetti pilota che innalzano la sicurezza antisismica, l'efficienza energetica, prevedono la partecipazione attiva dei cittadini.
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