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Il patrimonio culturale non è minacciato solo dalle vernici

Il patrimonio culturale è da diversi mesi il palcoscenico di azioni dimostrative da parte di gruppi di attivisti, esasperati dalla lentezza delle azioni istituzionali, dall’atteggiamento passivo dell’opinione pubblica e da atteggiamenti e comportamenti orientati al green washing da parte di alcune imprese.

di Paola Dubini

L'attacco ai Girasoli di Van Gogh alla National Gallery di Londra ha dato il via a diverse azioni dimostrative

3' di lettura

Il patrimonio culturale è da diversi mesi il palcoscenico di azioni dimostrative da parte di gruppi di attivisti, esasperati dalla lentezza delle azioni istituzionali, dall’atteggiamento passivo dell’opinione pubblica e da atteggiamenti e comportamenti orientati al green washing da parte di alcune imprese.

Per quanto l’intento non sia il danneggiamento del patrimonio, ma l’attivazione di un cortocircuito cognitivo e comportamentale, chi di patrimonio culturale si occupa per professione si trova chiamato in causa suo malgrado e nel suo core business: la conservazione.

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Una sfida complessa

Più in generale, chi si occupa di cultura, sia come individuo che come organizzazione, inevitabilmente si trova a giocare simultaneamente almeno tre ruoli:

1 Come tutti, è chiamato a fare la sua parte nella realizzazione di un cambiamento generale: e quindi nello specifico deve preoccuparsi di affrontare gli effetti del cambiamento climatico (ad esempio sulla conservazione dei monumenti, delle opere, delle tradizioni) e a mitigare il proprio impatto sull’ambiente.

2 Si occupa “per mestiere” di costruire immaginari e deve quindi partecipare alla costruzione di nuovi sguardi e approcci capaci di stimolare la consapevolezza della collettività sull’emergenza climatica, su quanto è perduto o a rischio, sull’urgenza di una reazione, sulle possibilità future.

3 Deve necessariamente svolgere anche un ruolo di mediazione.

Una riflessione necessaria

Bene ha fatto la Scuola dei Beni e delle Attività Culturali ad avviare una riflessione sul tema con i membri della sua community; per quanto si tratti di un primo lavoro esplorativo su un campione non stratificato di operatori culturali, si tratta della prima indagine su base quantitativa sul tema su non poche osservazioni (545) e apre la strada a riflessioni via via più puntuali costruite a partire da evidenza empirica adeguata.

E il fatto che una percentuale consistente dei rispondenti non si senta direttamente chiamato in causa sul tema è difficile da accettare da chi come me pensa che chi si occupa a vario titolo di cultura abbia non solo il compito di essere genericamente cassa di risonanza, ma attore attivo sulle tematiche di sostenibilità.

I risultati della ricerca sono disponibili sul sito della Fondazione: www.scuoladelpatrimonio.it.

Guardando alle risposte alla domanda su quali elementi del patrimonio siano maggiormente esposti alle conseguenze negative del cambiamento climatico, il «contenitore» e le «antichità» sembrano più minacciate rispetto al «contenuto» (patrimonio archivistico e documentale, opere d’arte) e al «contemporaneo» (l’arte contemporanea, l’archeologia industriale).

Sappiamo che non è completamente vero, ma anche che probabilmente è necessario accompagnare la riflessione dell’opinione pubblica su come il cambiamento climatico impatti su tutto il patrimonio e non solo su una sua parte.

I rispondenti sono stati “clusterizzati” in funzione delle percezioni in merito a quali soggetti dovrebbero contribuire in primis alla lotta al cambiamento climatico, alla necessità che il sistema culturale sia strumento di advocacy in materia di cambiamento climatico, all’opportunità e efficacia dell’azione degli attivisti, alla posizione che il sistema culturale dovrebbe tenere nei loro confronti, date le conseguenze possibili di questi atti sulla percezione collettiva del patrimonio culturale.

Più radicali che conservatori

Il 65% del campione ricade in un gruppo che si distanzia dalle azioni degli attivisti, riconoscendo tuttavia che il patrimonio è minacciato dal cambiamento climatico, che sia importante che il sistema culturale trasmetta un messaggio di allarme e urgenza e che i governi nazionali e sovranazionali siano i principali attori della lotta al cambiamento climatico.

Gli altri due gruppi si pongono rispettivamente in posizioni più «conservatrici» (16%), e più «radicali» (19%) rispetto alla media; è interessante notare come i rispondenti più giovani si concentrino in termini statistici nel gruppo dei conservatori, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. All’interno del gruppo dei «radicali» si concentrano i rispondenti che ritengono che nelle azioni degli attivisti il patrimonio non sia solo uno «sfondo danneggiato» e che sia necessario aprire un dialogo con loro per sostenere la causa comune di advocacy sul cambiamento delle politiche e dei comportamenti.

È evidente che chi ha a cuore la conservazione del patrimonio non possa che assistere con grande sgomento davanti alle azioni dimostrative; tuttavia penso che sia davvero necessario un dibattito serrato fra gli operatori culturali su come stimolare una presa di coscienza collettiva sui rischi che noi e il già fragile patrimonio culturale stiamo correndo. Inevitabilmente, chi ha responsabilità di conservazione e di valorizzazione del patrimonio è ampiamente chiamato in causa.

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