Il patrimonio culturale sfida il cambiamento climatico
La mobilitazione mondiale del settore culturale contro la crisi climatica fa tappa alla 25ª Conferenza Mondiale sul Clima delle Nazioni Unite (2-13 dicembre, Madrid). Al via in Italia la nuova Direzione Generale per la prevenzione di rischi, la salvaguardia del patrimonio culturale e il coordinamento in caso di emergenze ambientali e civili
di Roberta Capozucca
4' di lettura
Mentre a Madrid è in pieno svolgimento il vertice internazionale sul clima organizzato dalle Nazioni Unite (COP25), anche il settore del patrimonio culturale si mobilita per fare la propria parte. Durante l'evento, è stato lanciato il primo Action Plan del Climate Heritage Network , la rete internazionale fondata nel 2018 con lo del scopo di riunire le organizzazioni che si occupano di arte, cultura e patrimonio nel raggiungimento degli ambiziosi obiettivi posti dall' Accordo di Parigi .
“Madrid-to-Glasgow Arts, Culture and Heritage Climate” è un piano d'azione basato sull'idea che il settore del patrimonio culturale può supportare concretamente la lotta al cambiamento climatico, ad esempio, promuovendo il riuso di edifici esistenti o mettendo a frutto un bagaglio di conoscenze e soluzioni di gestione territoriale provenienti dal passato mai esplorate prima.
Il futuro del nostro passato. Che cosa possiamo fare?
Per capire questa nuova prospettiva, che ribalta totalmente l'approccio alla questione passando dagli strumenti che servono al patrimonio per affrontare la crisi climatica alle competenze che il settore può mettere in campo per fronteggiarla, un testo fondamentale è “ Future of Our Pasts: Engaging Cultural Heritage in Climate Action ”, curato dall'ICOMOS e presentato a Baku nel luglio 2019 durante il 43° World Heritage Commitee . La pubblicazione parte dall'assunto che il patrimonio culturale è un driver dal grande potenziale in quanto offre soluzioni escogitate dall'umanità prima dell'apparizione dei combustibili fossili di fatto valide ancora oggi. Il testo si rivolge direttamente ai professionisti del patrimonio, ai gestori di siti, agli scienziati, ai ricercatori e ai policy maker con l'intento di stimolarli ad adeguare le loro pratiche di analisi alla luce dei cambiamenti climatici e a trovare un equilibrio fra i benefici derivanti dal turismo e l'impronta ecologica prodotta dai visitatori.
Cosa fanno gli stati?
Certo è che se gli operatori culturali possono sensibilizzare la popolazione e i professionisti a guardare al passato, sono i singoli stati a doversi attivare per salvaguardare il patrimonio dalle catastrofi ambientali e civili. Con la riorganizzazione del Mibact , approvata dal Consiglio dei Ministri il 2 dicembre 2019, il Ministero guidato da Dario Franceschini ha già fatto un primo passo verso questa direzione. Alle 7 nuove soprintendenze territoriali, alla ritrovata indipendenza economica e gestionale dei tre istituti detronizzati dal decreto Bonisoli (Galleria Accademia di Firenze, il Parco Archeologico dell'Appia Antica e il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma) e ai 7 nuovi siti che entrano nella lista di quelli già autonomi, si aggiunge l'istituzione di una Direzione Generale per la Salvaguardia del Patrimonio. La nuova Direzione, che sostituirà l'attuale Unità di Missione, si occuperà sia di prevenzione che di ricostruzione e agirà in raccordo con tutte le altre strutture del ministero, dai carabinieri dei beni culturali alle direzioni dedicate all'archeologia, alla storia dell'arte e all'architettura.
Lo stato dell’arte
Solo in Italia, sono circa 30.000 i siti culturali a rischio alluvione (“Le città Italiane alla sfida del clima”), 14.000 in pericolo dall'intensificarsi degli eventi idrogeologici e l'82% di quelli presenti sulla costa mediterranea sono a rischio inondazioni ( rapporto Università di Kiel). Dopo anni di catastrofi, soprattutto dopo gli ultimi episodi legati a Venezia e Matera che hanno portato all'attenzione internazionale la fragilità delle nostre città d'arte, finalmente il Ministero ha deciso di dare vita ad un organismo ad hoc. Si tratta anche di un primo passo verso quell'idea di Protezione Civile dei Beni Culturali da tempo auspicata dal Ministro, che solo poche settimane fa ha ricordato alla Direttrice Generale Unesco, ribadendo la necessità di agire con organismi, protocolli e procedure definite a livello internazionale.
L'impegno delle Organizzazioni internazionali
Come ha sottolineato Franceschini, quello che manca sono normative e piani d'azione concreti, costruiti però sulla base del grande lavoro di ricerca che da anni le organizzazioni internazionali del patrimonio culturale (ICOMOS, ICCROM e Unesco) portano avanti. Erminia Sciacchitano della DG Istruzione, Gioventù, Sport e Cultura della Commissione europea commenta: “se vogliamo raggiungere obbiettivi internazionali è necessario non perdere tempo e guardare al grande lavoro già fatto sia in ambito internazionale che europeo. Basti pensare che solo nel 2018 la Commissione ha investito 18 milioni di euro, attraverso il programma quadro Horizon2020, per testare soluzioni che aumentino la resilienza degli insediamenti storici e favoriscano il loro recupero sostenibile in caso di disastri; fra gli ultimi sono stati appena lanciati due progetti da circa 6 milioni di euro: Shelter e ARCH .
Inoltre sempre nel 2018, durante l'Anno Europeo del Patrimonio Culturale precisamente nell'ambito dell'iniziativa “Heritage at Risk”, è stato realizzato lo studio “ Safeguarding Cultural Heritage from Natural and Man-Made Disasters ”, curato dall'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del CNR ( CNR-ISAC ) di Bologna. Il report fotografa lo stato dell'arte sulle ricerche e sugli strumenti esistenti negli stati europei, che oggi si dimostrano preziosi per individuare nuove strade da percorrere assieme. Da questo punto di vista l'Italia emerge come una vera e propria eccellenza, essendo uno dei pochi paesi ad avere inserito il patrimonio culturale nella propria Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici , ma soprattutto essendo una delle poche nazioni ad avere una struttura governativa (il Dipartimento della Protezione Civile) preposta al coordinamento delle politiche e delle attività in tema di difesa civile, ambientale e culturale. Questa è anche molto attiva a livello europeo, avendo coordinato il progetto PROMEDHE - Protecting Mediterranean Cultural Heritage During Disasters: un'iniziativa finanziata dalla Direzione Generale per la Protezione Civile e le Operazioni di Aiuto Umanitario Europee ( DG ECHO ) con un budget di oltre 1 milione di euro, che l'ha visto impegnata tra il 2016-2017 in uno scambio e trasferimento di conoscenze con gli analoghi organismi di Israele, Giordania, Palestina e Cipro. Fra l'altro, la Protezione Civile Italiana oggi è di nuovo impegnata in un progetto che raccoglie il testimone di quest'esperienza; si tratta di “ ProCultHer ” (2019-2020) un'iniziativa sempre finanziata dalla DG ECHO con quasi 800.000 euro per definire procedure comuni a livello europee, sviluppando al contempo le competenze tecniche nei corpi delle protezioni civili degli stati membri.”
Se il patrimonio culturale è fonte di resilienza per le comunità, è giunto il momento che il settore faccia il punto sul bagaglio di competenze che può mettere in campo per affrontare questa sfida comune, capitalizzando gli sforzi già fatti dalle organizzazioni internazionali e applicando le soluzioni già escogitate da altri paesi per salvare il più velocemente possibile quello che ancora può essere salvato.
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