Il Pd tratta con Conte, resta il nodo vicepremier
Possibile soluzione: nessun numero 2 e sottosegretario di fiducia del premier
di Emilia Patta
3' di lettura
Dal punto di vista del Pd il film di questi giorni scorre su due schermi: da una parte l’interlocuzione del segretario Nicola Zingaretti, dei suoi vice e dei capigruppo con il premier incaricato Giuseppe Conte sul programma. Modifiche ai decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini nei punti indicati dal Capo dello Stato con le lettere che hanno accompagnato la firma, misure per disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva, taglio del cuneo fiscale che grava sul lavoro, misure per le imprese sulla scia di Industria 4.0: anche durante le consultazioni di ieri la delegazione del Pd ha trovato in Conte orecchie attente su molti punti. E anche oggi, come fatto sapere da Palazzo Chigi, continueranno gli incontri tra le due delegazioni con l’obiettivo di arrivare a un documento programmatico condiviso già domenica.
Sull’altro schermo scorrono invece le immagini del leader politico del M5s Luigi Di Maio, che alza la posta al punto da far apparire in bilico l’esito della crisi. Tanto che a Largo del Nazareno comincia a circolare il sospetto di un piano C di Di Maio: ossia rompere la trattativa per spaccare il movimento e tornare al voto in accordo con Salvini (una sorta di alleanza tra la Lega del Nord e la Lega del Sud). Sospetti a parte, la cronaca registra l’annullamento da parte di Zingaretti dell’incontro che avrebbe dovuto esserci nel pomeriggio con Di Maio e poi il tesissimo incontro di Andrea Orlando e di Dario Franceschini del Pd con i capigruppo del M5s alla presenza di Conte. Incontro durante il quale non è stato realmente affrontato ma solo evocato il nodo della trattativa politica: il ruolo che dovrà avere nel governo in formazione proprio Di Maio, che continua a chiedere per sé il mantenimento della carica di vicepremier oltre che la titolarità di un ministero. Richiesta che resta inaccettabile per il Pd: Zingaretti considera Conte non premier super partes ma espressione del M5s e quindi, è la richiesta, ci deve essere un vicepremier unico (nella figura di Franceschini, che avrebbe in questo caso anche la delega ai Rapporti con il Parlamento). Difficile al momento prevedere un possibile punto di caduta, visto che per il Pd il vicepremier unico sembra essere condizione irrinunciabile. Tra i democratici c’è anche chi, come il sindaco di Bologna Virginio Merola, suggerisce di accettare lo schema dei due vicepremier e invita lo stesso Zingaretti a fare da contraltare a Di Maio a Palazzo Chigi. Sembra che lo schema dei due vicepremier incontri il gradimento dello stesso Conte, che in alternativa suggerisce l’assenza di vice, come già accaduto in passati governi, con un sottosegretario alla Presidenza “tecnico” da lui scelto. Ma è chiaro che in questo caso sarà il Pd a voler indicare il sottosegretario (Paola De Micheli o Graziano Delrio).
Restano comunque altri nodi da sciogliere, in particolare gli Interni e l’Economia. Al Viminale potrebbe andare un democratico (si fa il nome di Orlando, oltre a quello di Minniti), ma una soluzione condivisa potrebbe essere un “tecnico” autorevole anche per arginare la propaganda di Salvini dall’opposizione sul punto (in questo caso i candidati sono al momento il capo della Polizia Franco Gabrielli e il suo predecessore Alessandro Pansa). Ancora non sciolto anche il nodo Economia, casella sulla quale c’è la massina attenzione da parte del Quirinale: occorre una figura d’esperienza e con un’interlocuzione con l’Europa. In casa democratica si continua a fare il nome dell’attuale presidente della commissione Bilancio dell’Europarlamento Roberto Gualtieri, ma anche in questo caso la soluzione potrebbe essere un “tecnico” autorevole come l’ex direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi. Sullo sfondo anche l’ipotesi di lasciare al suo posto Giovanni Tria, ipotesi gradita al M5s ma non al Pd, che a quel punto potrebbe rilanciare sul ministro dei governi Renzi e Gentiloni Pier Carlo Padoan. Un’altra casella su cui c’è la massima attenzione da parte del Quirinale è quella degli Esteri, che dovrebbe essere in quota Pd (in pole sempre l’ex premier Paolo Gentiloni).
Della delegazione pentastellata resteranno sicuramente Alfonso Bonafede (ma sulla Giustizia c’è la concorrenza del democratico Orlando) e Riccardo Fraccaro. Le new entry del M5s sono i capigruppo: Stefano Patuanelli (forse alle Infrastrutture) e Francesco D’Uva.
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