l’editoriale

Il percorso a ostacoli per convincere Bruxelles

di Alberto Quadrio Curzio

Imagoeconomica

4' di lettura

A giorni il Documento di Economia e finanza (Def), contenente il Programma di stabilità e il Programma Nazionale di riforma, imposterà gli aggiustamenti per il 2017 e la legge di bilancio per il 2018. L’importanza di questo Def è evidente perché il 2018 sarà un anno elettorale cruciale nel quale si deciderà se e come nella XVIII °legislatura l’Italia sarà governabile. Al proposito non è possibile esimersi da un confronto con gli altri due grandi Paesi europei (Francia e Germania) che, pur nelle diversità del presidenzialismo e del cancellierato, hanno una governabilità di legislatura che rappresenta un fattore di credibilità e di stabilità (economica) dentro e fuori l’Europa.

Adesso sappiamo che il Governo Gentiloni arriverà (essendo il terzo dal 2013!) alla fine della legislatura. I mesi futuri non saranno però semplici perché la vera incognita sono le spinte settoriali e corporative per ottenere il massimo da un Governo che ha di fronte un Parlamento che pensa già alla XVIII legislatura. Per evitare che le pressioni diventino dirompenti è necessario che il rapporto con le istituzioni europee si caratterizzi per una «rigida flessibilità». Questo ossimoro significa che nella politica fiscale dovremmo ottenere delle flessibilità (anche con degli “scambi” di cui parleremo) rigorosamente finalizzate agli investimenti e alla produttività. Il Governo ha dunque davanti a sé un percorso complesso, ma le difficoltà maggiori potrebbero non venire dalla Commissione europea. Riflettiamo su questa tesi a proposito di Dec e Def.

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Il Dec: correzione e crescita

La «manovrina» da 3,4 miliardi circa (che potrebbero scendere a 3 se la crescita passa dell’1% all’1,1-1,2%) non preoccupa. La richiesta dalla Commissione europea a correzione del deficit 2017 è infatti molto leggera. La soddisferà un «Dec», cioè un decreto previsto per il 20 aprile, dove la «c» sta per correzione e crescita. La correzione prevede l’aumento di alcune accise, il taglio di qualche spesa e l’estensione dello split payment.

La crescita prevede misure che hanno costo zero, tra cui agevolazioni fiscali per attirare in Italia fondi di investimento e vari transfughi della Brexit, mentre un miliardo all'anno per tre anni andrà alle zone terremotate senza entrare contabilmente nell'indebitamento netto. Speriamo che questo Dec, molto ragionevole, abbia un iter rapido e lineare necessario anche alla successiva trattativa con la Ue. Ogni polemica politica interna sarebbe chiaramente strumentale a mettere in difficoltà il governo e il Paese.

Il Def: competenza e credibilità
Molto più complessa è la costruzione del Def con cui si avvia l'iter che porta in dicembre alla legge di bilancio per il 2018. Il governo deve neutralizzare le clausole di salvaguardia concordate con la Ue per il 2018 per quasi 20 miliardi con aumenti dell'Iva e delle accise. Se dovesse materializzarsi questo evento il danno per la nostra crescita sarebbe molto pesante. Come è già stato spiegato su queste colonne, il governo è alle prese con due scelte: quella tattica di confermare adesso un deficit sul Pil per il 2018 all'1,2% come concordato con la Commissione europea per alzarlo poi all'1,8% o al 2% con la Nota di aggiornamento del Def a settembre; quella di indicare sin d'ora un livello di deficit su Pil aumentato rispetto agli accordi per non arrivare a una trattativa troppo serrata a settembre. In tutto ciò il ruolo fondamentale sarà svolto dal ministro Padoan che ha la credibilità e la competenza per districare la matassa.

Il Def: prima e dopo
Non va però dimenticato che il Def ha un «prima». Si tratta delle confutazioni che il governo italiano ha presentato alla Commissione in febbraio per dimostrare che il nostro percorso verso il pareggio strutturale di bilancio è migliore di quanto stimi Bruxelles (per differenze nel calcolo dell'ouput gap) e che il nostro debito sul Pil si è stabilizzato nel 2016. Il Def ha anche un «dopo». Si tratta di un debito sul Pil previsto per il 2017 al 132% (al netto dei sostegni al sistema bancario). Un livello che ci sembra troppo alto per realizzare la previsione governativa di arrivare al 123,5% nel 2020.Molto dipenderà allora dalla accentuazione degli interventi per la produttività e la crescita su cui il binomio Renzi-Padoan ha ben operato pur con qualche sbandamento. Per la fiscalità e la contribuzione, oltre alla prosecuzione nel recupero dell'evasione, vanno riordinate le quasi 450 misure di detrazioni e deduzioni fiscali accentuando invece, anche in termini di durata, le misure già introdotte dal precedente governo per spingere investimenti, innovazione, occupazione (specie giovanile, con un taglio della fiscalità sui neoassunti). Per la spesa pubblica va accentuata la razionalizzazione (compresa quella delle partecipate locali) per l'efficienza che incide molto sulla produttività del sistema e quindi sul Pil e sul gettito. Per le privatizzazioni, chieste con forza dalla Commissione, si parla di un conferimento alla Cdp di quote di società detenute dal Tesoro contro l'emissione di azioni privilegiate da cedere poi in parte sul mercato. Speriamo che così non si tolga alla Cdp una potenzialità strategica europea richiamata, come per altri Paesi, anche nel Piano di investimenti Juncker.

La Commissione Juncker
In questo difficile percorso il Governo ha bisogno della Commissione europea non solo per «assecondarci», ma anche per «tutelarci». Nei tre anni passati l'efficace complementarietà tra Renzi e Padoan ha avuto il massimo di concessioni da 10 anni almeno spingendo sulle riforme strutturali che, pur incomplete, hanno favorito la crescita (ancora fragile) dando anche un forte segnale decisionale. Merito va anche al presidente Juncker, un politico europeista innovativo e pragmatico consapevole che l'Italia è importante. Da lui dipenderà anche molto se l'Agenzia europea del farmaco (Ema), un investimento per noi strategico, passerà da Londra a Milano. L'Italia non deve dunque urlare ma dimostrare di poter essere uno dei pilastri delle cooperazioni rafforzate dell'Eurozona prefigurate come il terzo scenario del «Libro bianco» di Juncker. Se in Francia vincerà Macron, alle cooperazioni rafforzate potrebbe essere portato il pilastro della difesa comune (come ha ben spiegato Romano Prodi) mentre dalla Germania (quale che sia il vincitore tra Merkel e Schulz) verrebbe un'economia manifatturiera leader mondiale. L'Italia manifatturiera e risparmiatrice può entrare nel nucleo centrale, ma non per il record di 63 governi dal 1946

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