Il libro

Il lungo periplo dell’Europa per trovare l’identità

di Alberto Orioli

3' di lettura

Forse l’unico lettore deluso da Verso casa,il libro del responsabile della sede di corrispondenza Rai di Bruxelles Donato Bendicenti pubblicato da Luiss University Press, sarà Giuseppe Conte.

In quello che per l’autore è «il lungo viaggio dell’Europa per ritrovare sé stessa» ci sono molti retroscena, testimonianze di prima mano: il dramma del divorzio dal Regno Unito con i suoi alti e bassi negoziali, i suoi tratti di tragedia umana come sempre accade nelle separazioni e i suoi aspetti crudi quando è in gioco l’interesse economico; l’avvento dell’Europa di Ursula von der Leyen con la novità politica della sua maggioranza che spacca il fronte dei sovranisti (anche italiani); il grande esperimento dell’Europa che inventa competenze di salute pubblica, diventa farmacia continentale e scopre la potenza di azioni concrete inclusive e solidali.

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C’è tutto questo, con dovizia di annotazioni sugli incontri, sui messaggi (in chiaro e no) tra i leader,colpiti, come tutti, da qualcosa di mai conosciuto e vissuto prima. Ma non c’è il resoconto di quella tre giorni snervante e interminabile che l’allora premier aveva raccontato come un corpo a corpo in maniche di camicia tra l’Italia e i Paesi frugali, Olanda in testa, per accaparrarsi i fondi del Next Generation Eu. Un negoziato durissimo per strappare ai rocciosi partner europei, da Angela Merkel e Emmanuel Macron, i fondi del Next Generation Eu che vedono l’Italia quale primo beneficiario del nuovo corso dell’Europa che finalmente riesce a condividere il proprio debito per finanziare investimenti e riforme. Un successo del nostro Paese, una vittoria ingigantita dall’eco social così adatto alle tifoserie. La trattativa dei pugni sul tavolo. Quella che per Conte era stato il risultato che confermava la «forza» del governo.

Bendicenti riporta un’altra interpretazione, una vulgata che gira tra Roma e Bruxelles. «Per gestire la monumentale quota di un debito condiviso (…) per investire al meglio e vigilare con sapienza (…) Palazzo Chigi avrebbe avuto bisogno di essere guidato da un profilo eccezionale e che godesse di una stima universale a cominciare ovviamente dai vertici delle Istituzioni europee e dalle principali cancellerie dell’Unione». Insomma – è la tesi riportata nel libro – quel successo italiano sarebbe stato l’inizio della fine proprio per Conte e la sua leadership, tanto fortunata quanto improvvisata, e il prologo della chiamata di Mario Draghi alla testa dell’esecutivo.

C’è molto Draghi nel libro e molto David Sassoli, come è giusto che sia in un volume che non rinuncia a raccontare l’Europa come un cammino accidentato, certo, ma sempre entusiasmante e nobile nel suo obiettivo di fondo, pur se declinato tra «aperture visionarie ed egoismi soffocanti».

Sassoli (morto poco prima che il libro andasse in stampa) ha firmato la prefazione al volume dove ricorda il Jean Monnet dell’«Europa forgiata dalle sue crisi» che ora deve andare oltre la pandemia e perseguire nuove regole di governance, a partire dal voto a maggioranza nel Consiglio dell’Unione europea e diventare finalmente quell’Europa «utile» e inclusiva cui guardano, non da oggi, i 450 milioni di cittadini dell’Unione.

Come spiega Bendicenti, l’Europa non ha più tempo, deve scegliere se continuare una navigazione «sussultoria alla continua ricerca di sé stessa» o, peggio, procedere solo per atti di autoconservazione o scegliere una volta per tutte di dare vita a «quel sogno a occhi aperti che è, e continua a essere, la realizzazione compiuta degli Stati Uniti d’Europa».

Come nel più classico ex malo bonum,la pandemia, è la tesi di Bendicenti, può trasformarsi «nella più straordinaria occasione di maturazione, crescita e coesione dell’Unione europea». Gli dà ragione Paolo Gentiloni, commissario europeo agli Affari economici, che chiude il volume con queste parole: «La pandemia ci ha fatto riscoprire l’Europa. Mai abbiamo avuto una simile occasione per essere più uniti e più forti. Per diventare, appunto, più europei. Perderla sarebbe imperdonabile».

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