Il petrolio scotta per il G20, ma gli Usa appoggiano i tagli
La montagna del G20 ha partorito un topolino. La riunione d’urgenza convocata all’indomani del vertice Opec Plus si è chiusa con un comunicato vago, in cui la parola «petrolio» non compare nemmeno
di Sissi Bellomo
3' di lettura
È comunque un risultato storico: gli Usa dello shale oil schierati a fianco di Russia e Arabia Saudita per difendere l’industria del petrolio . Ma l’inedita alleanza non è ancora riuscita a raggiungere tutti gli obiettivi sperati.
Il G20 Energia, organizzato d’urgenza all’indomani del vertice Opec Plus, è stato la classica montagna che ha partorito un topolino. Le maggiori potenze economiche del Pianeta non solo avrebbero dovuto ufficializzare un taglio globale della produzione di greggio, ma anche sancire forme di collaborazione dei Paesi consumatori: ad esempio piani di accumulo di riserve strategiche, per ritirare dal mercato i barili in eccesso.
Il piano è riuscito solo in parte. La discussione in seno al G20 si è protratta per nove ore, durante le quali sono trapelate indiscrezioni sulle resistenze della Ue – restia ad appoggiare misure di salvataggio del petrolio – e sui “capricci” del Messico: i sauditi, a quanto pare, non trovano accettabile che siano gli Usa ad effettuare una parte dei tagli per conto di un Paese dell’Opec Plus, come aveva offerto Donald Trump.
Il comunicato finale – pubblicato nel cuore della notte, ore dopo la conclusione della lunghissima videoconferenza – è quanto di più generico ci si potesse aspettare. Le parole «produzione» e «scorte» non compaiono nemmeno una volta nel testo.
Addirittura è il «petrolio» a non essere mai menzionato. Riconoscendo le sfide poste dal coronavirus, il G20 si limita ad affermare l’impegno a «prendere tutte le misure necessarie e immediate per assicurare la stabilità del mercato dell’energia» in questo «periodo di emergenza internazionale senza precedenti».
Viene istituito un «Focus Group», al quale i Paesi del G20 parteciperanno «su base volontaria», ambiguamente incaricato di «sviluppare misure di risposta e azioni correttive coordinate». Ma, per l’appunto, non si parla di petrolio né tanto meno di tagli.
La Russia aveva dato un messaggio diverso, prima che il comunicato fosse finalmente diffuso. Il ministro dell’Energia Alexandr Novak davanti alle telecamere di Rossiya-24 affermava che gli Usa e altri Paesi avrebbero ridotto la produzione di greggio di 5 milioni di barili al giorno, un “taglio” aggiuntivo a quello da 10 mbg deciso dall’Opec Plus.
Anche quest’ultimo per entrare in vigore attende ancora una soluzione delle dispute con il Messico: è possibile che nonostante tutto si trovi un escamotage. Ma a questo punto l’impegno degli altri Paesi dev’essere preso sulla parola.
Beninteso, gli Stati Uniti taglieranno: il segretario all’Energia Dan Brouillette ha dichiarato di fronte al G20 che «entro fine anno» la produzione Usa calerà di 2, se non addirittura 3 milioni di barili al giorno. Qualcosa di simile accadrà anche in molti altri Paesi, perché la crisi del settore sta obbligando a scelte dolorose.
Ma il Canada ha pensato bene di chiarire che non bisogna aspettarsi impegni scolpiti nella pietra. «Non ho mai sentito prima quella cifra», ha detto il ministro canadese Seamus O’Regan a proposito dei 5 mbg citati dai russi. «Prima o poi arriveremo a scambiarci dei numeri, ma non l’abbiamo fatto in questo G20».
Dietro le quinte i colossi del petrolio si parlano e probabilmente si coordinano. In questi giorni Donald Trump ha sentito diverse volte al telefono il presidente russo Vladimir Putin e il re saudita Salman.
Ma le ambizioni erano ben altre, come aveva riferito Fatih Birol, il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), rivelando in un’intervista al Sole 24 Ore la paternità dell’idea di coinvolgere il G20: l’obiettivo era unire produttori e consumatori di petrolio, riconoscendo (Birol l’ha sottolineato di nuovo, partecipando al G20) che la crisi del settore è «uno shock sistemico, che minaccia l’economia globale e la stabilità finanziaria»
Costituire un fronte comune per salvare l’Oil & Gas significa però ammettere – almeno implicitamente – che si tratta ancora di un settore nevralgico, “too big to fail” se si vogliono evitare danni ancora più gravi a un’economia già vacillante a causa del coronavirus.
Per i Paesi importatori – soprattutto per quelli europei, impegnati nel Green Deal – probabilmente era chiedere troppo.
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