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Il piano di Ccb per Carige: obiettivo fusione nell’arco di 2-3 anni

L’operazione prevede un aumento di 700 milioni, di cui 65 milioni messi da Cassa Centrale Banca, che però ha un’opzione call (entro il 2021) per comprare le quote del Fondo interbancario

di Laura Serafini

2' di lettura

La fusione tra Cassa centrale banca e Carige nell’arco di due o tre anni. È questo l’obiettivo e il cardine di piano di intervento della capogruppo trentina del sistema di credito cooperativo nella banca genovese. L’operazione ha una logica industriale forte che si realizza nel pieno solo a valle dell’integrazione delle due società, perchè si potranno acquisire nel pieno vantaggi fiscali e potranno essere dispiegate le sinergie. È quanto i vertici di Ccb, il presidente Giorgio Fracalossi e l’ad Mario Sartori, spiegheranno oggi ai rappresentanti delle 80 Bcc aderenti al gruppo, ma che al contempo sono anche azioniste della capogruppo.

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L’origine del coinvolgimento della capogruppo Ccb nel salvataggio dell’istituto bancario ligure va ricercato nella forte patrimonializzazione (anche ridondante) che la holding si è trovata ad avere dopo l’aumento di capitale eseguito a fine 2017 - per complessivi 1,2 miliardi di cui 700 milioni di cash - per consentire alla banca di secondo livello di raggiungere i requisiti di capitale (1 miliardo) previsti dalla riforma del credito cooperativo per acquisire lo status di capogruppo.

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Da quel punto di partenza sono state poi trovate molte ragioni per arrivare a un merger. L’operazione di salvataggio prevede un aumento di 700 milioni, di cui 65 milioni messi da Ccb che però ha un’opzione call (entro il 2021) per comprare le quote del Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) - che ne investirà circa 260 (ma possono salire a 340 milioni se gli altri azionisti di Carige non sottoscrivono) oltre alla conversione del bond da 313 milioni. Ccb potrà dunque rilevare il pressochè controllo di Carige per circa 380 milioni complessivi(oltre ai 100 milioni che metterà sul bond subordinato Tier2). Carige verrà pulita dai crediti problematici per l’intervento di Sga, sulla quale dovrebbero ricadere anche gli oneri per la gestione degli esuberi (tra 1000 e 2000 persone).

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Quando Ccb la comprerà la banca genovese sarà in equilibrio finanziario e al quel punto il gruppo trentino potrà trarre margini con le sinergie informatiche, grazie all’uso della propria società interna Phoenix. Carige ha esternalizzato le attività informatiche e ha un contratto con Ibm, che comunque è oneroso da chiudere ma ci si sta lavorando. Non solo: attraverso la fusione potranno emergere vantaggi fiscali grazie alle Dta per circa 500 milioni, benefici che andranno direttamente a patrimonio netto.

C’è poi la presenza territoriale: il gruppo trentino praticamente non ha sportelli in Liguria e nella Lunigiana, anche se in altre aree del paese potrebbe porsi il problema di sovrapposizioni. Va poi considerato il fatto che Ccb non è mai stata una banca commerciale, ma una banca di secondo livello in un sistema di credito cooperativo. Tra i vantaggi che il management oggi potrebbe illustrare alle Bcc c’è il fatto che molti investimenti da fare per la compliance, l’adeguamento dei sistemi e delle pratiche per diventare gruppo bancario a tutti gli effetti potrebbero essere minore grazi al contributo portato dalla banca genovese.

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