Il Piano nazionale energia frena sull’addio al carbone nel 2025
Il Governo vincola lo spegnimento delle centrali alla realizzazione dei nuovi elettrodotti, ma c’é il nodo dei tempi autorizzativi. Dopo il Tap stop a nuovi gasdotti
di Celestina Dominelli e Carmine Fotina
4' di lettura
Poche parole cambiate da una versione all’altra e il messaggio è chiaro: sull’addio al carbone nel 2025 il governo ora è molto più cauto. Il testo definitivo del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), inviato nei giorni scorsi alla Commissione europea dopo un percorso di oltre un anno, vincola la decarbonizzazione alla realizzazione di infrastrutture su cui grava il rischio di iter autorizzativi molto lunghi.
Target potenziale
Una frenata che si avverte già nelle prime pagine del documento: il passaggio della vecchia proposta - «l’Italia ritiene» di accelerare la transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili - diventa nel nuovo testo «l’Italia intende» procedere alla svolta. E dalla «necessità di realizzare con la dovuta programmazione gli impianti sostitutivi e le necessarie infrastrutture» si passa a una transizione che «esige ed è subordinata alla programmazione e realizzazione» degli stessi. Dunque proprio nella fase di abbrivio del “Green new deal” lanciato dal governo Conte, i cui contenuti sono stati inseriti nella nuova versione del Piano, la scadenza del 2025 – di cui in Italia si parla già dai tempi dell’esecutivo Gentiloni – non appare più un obiettivo perentorio ma è un target potenziale, vincolato ai tempi burocratici e tecnici dei nuovi investimenti nel sistema elettrico. Per adeguare quest’ultimo al nuovo scenario della decarbonizzazione servono infatti almeno 46 miliardi (tra reti di distribuzione, rete di trasmissione, pompaggi e batterie) su 180 miliardi totali necessari per l’intero settore energetico nazionale. Occorrono in tempi certi nuove opere, come l’annunciato collegamento Sicilia-Sardegna-Continente di Terna (il “Triterminale”).
Gli obiettivi rivisti
Il Piano inviato a Bruxelles conferma innanzitutto l’obiettivo del 30% di consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili. Rispetto però alla precedente versione si impone un maggiore sforzo al settore termico (usi per riscaldamento e raffreddamento), come sollecitato dalla Commissione Ue nelle raccomandazioni intermedie di giugno: il peso delle rinnovabili sale dal 33% al 33,9%. Uno scatto in più è indicato inoltre per i consumi dei trasporti, la cui quota da rinnovabili passa dal 21,6 al 22% anche in virtù dell’accelerazione sulle auto elettriche pure, il cui target al 2030 cresce a 4 milioni a fronte degli 1,6 milioni della prima proposta. Contemporaneamente però l’esecutivo rivede il contributo delle rinnovabili nel settore elettrico, con una quota che viene limata dal 55,4 al 55%.
Per l’altro grande obiettivo del Pniec, cioè il miglioramento dell’efficienza energetica, l’Italia punta a consolidare i risultati positivi fin qui raggiunti cambiando però il mix di strumenti. Non saranno più dominanti i certificati bianchi ma crescerà l’apporto di detrazioni fiscali e degli incentivi di Impresa 4.0. In termini di risultati, l’obiettivo minimo di risparmio al 2030 resta pari a 51,4 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) ma i tecnici del governo stimano in realtà che con le misure in campo si possa superare 57 Mtep.
Centrali, gasdotti e Sardegna
Ma le novità del Piano non si fermano ai dubbi sul 2025 e agli obiettivi. Tra i passaggi inseriti nel nuovo testo c’è un riferimento esplicito sul «phase out» del carbone al contributo che potrà arrivare anche da nuove centrali termoelettriche alimentate a gas, su cui l’Enel in audizione alla Camera si è detta pronta a investire per sostituire in parte gli impianti a carbone che dovranno essere chiusi. Tra le righe del documento, poi, c’è un riferimento chiaro ai gasdotti: «Non sono al momento previsti sviluppi infrastrutturali a gas dall’estero ma solo un temporaneo incremento dei consumi», come dire dopo il Tap (l’infrastruttura che porterà in Europa il gas azero) non ci sono all’orizzonte nuove condotte e anche per l’Eastmed, il collegamento con il Mediterraneo orientale, la strada a questo punto si fa ancora più in salita.
Il documento inoltre dice una parola chiara sul futuro energetico della Sardegna, strettamente legato all’addio al carbone vista la presenza di due centrali. In primo luogo si stabilisce la necessità di una perequazione delle tariffe tra gli utenti sardi, che saranno collegati alle nuove reti di distribuzione di Italgas, e il resto di Italia, come richiesto dalle Regioni nel parere sul Piano. Quanto alla dorsale per il trasporto del gas (il progetto Snam-Sgi) c’è un’apertura condizionata a uno studio costi-benefici.
I tempi di attuazione
Ora il Piano, predisposto dal ministero dello Sviluppo economico insieme ai ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture, dovrà ricevere il via libera definitivo della Commissione europea a giugno per poi diventare operativo dal 1° gennaio 2021. Sul rispetto dei target e il successo della strategia il governo Conte si gioca molto, anche per dimostrare che l’annunciato "Green New Deal" si tradurrà in reali benefici in termini di impatto ambientale e di performance energetiche.
Il ministero dello Sviluppo conta di implementare il Piano anche attraverso i decreti legislativi di recepimento del nuovo pacchetto di direttive europee sull’energia, che saranno emanati nel corso di quest’anno.
Per approfondire:
● La promessa di von der Leyen: «Mille miliardi per il Green New Deal europeo»
● Meno carbone, così nel 2019 l'Italia frena le emissioni di CO2
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