LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA

Il Pil in frenata aumenta il rischio della «super-Iva» nel 2020

di Gianni Trovati

Dalle previsioni intermedie ai rating: il calendario delle scadenze dei conti pubblici

3' di lettura

Gli aumenti Iva infilati nel bilancio triennale per essere tolti un attimo prima che scattino sono un «fattore di incertezza» crescente sui nostri conti pubblici dal 2012. Ma la sfida da affrontare quest’anno, a partire dal Def di inizio aprile, è decisamente più complicata.

Per tre motivi. Il valore già incluso nei saldi, 23,1 miliardi nel 2020 e 28,8 nel 2021, non ha precedenti. Il loro contributo, poi, non punta più a tagliare progressivamente il deficit strutturale per portarlo verso lo zero, ma per la prima volta serve a evitare che il disavanzo voli verso l’alto. In questo quadro, ed è la terza incognita sui calcoli che andranno fatti nei prossimi mesi, l’eredità della frenata del Pil che sta ridimensionando tutte le stime di crescita per quest’anno rende ancora più in salita la strada dei prossimi due. La traduzione pratica dei «rischi di ribasso» evocati anche sabato scorso dal Governatore Visco del già modesto +0,6% messo in agenda da Bankitalia potrebbe arrivare già nei prossimi giorni.

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Le previsioni macro dell’Ufficio parlamentare di bilancio e quelle della commissione europea attese giovedì saranno le prime a incorporare il -0,2% che secondo l’Istat è già acquisito nel tendenziale di quest’anno. Non è improbabile, quindi, che i tendenziali via via aggiornati, che saranno alla base del Def di aprile, viaggino a un livello più basso del +0,6%. Con queste premesse, diventa difficile raggiungere i tassi di crescita di base previsti dal governo per i prossimi due anni, +0,8% sia nel 2020 sia nel 2021, per non parlare del +1,1% (+1% nel 2021) scritti nel programmatico.

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Senza le clausole, ha ricordato Visco, il deficit nominale dell’anno prossimo arriverebbe di slancio al 3%, e si può aggiungere che lo strutturale non sarebbe molto più basso (la commissione Ue, nei calcoli di novembre contestati dal Mef, lo collocava a quel livello proprio perché non considera gli aumenti Iva). Con ricadute evidenti sul debito, il cui programma di riduzione (dal 131,7% al 130,7%) è per quest’anno interamente affidato a una promessa di privatizzazioni da 18 miliardi (un punto di Pil, non a caso) di complicatissima praticabilità.

LA STORIA DELLE CLAUSOLE IVA NEGLI ULTIMI GOVERNI

Gli aumenti di partenza disinnescati* dalle ultime leggi di bilancio dai vari Governi e attesi dalle prossime. Valori in miliardi di euro (Fonte: Elaborazione del Sole 24 Ore su dati Upb e Centro studi Confindustria)

LA STORIA DELLE CLAUSOLE IVA NEGLI ULTIMI GOVERNI

Su questo equilibrio fragile, la super-Iva messa in programma per i prossimi due anni ha un effetto duplice. Gli aumenti aiutano i conti pubblici ma complicano quelli privati, nel senso che tengono a bada il deficit ma frenano l’economia. Il problema è che in termini di saldi l’aiuto ai conti pubblici offerto dagli aumenti pesa più del triplo rispetto al freno prodotto sull’economia. A dirlo sono gli stessi numeri del Mef: per il 2019 la manovra ha cancellato 12,4 miliardi di aumenti Iva, cioè lo 0,69% del Pil, ma l’effetto «espansivo» di questa mossa vale solo lo 0,2 per cento. I calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio sono ancora più moderati, e sostengono che lo stop alle clausole aiuti il Pil quest’anno per un solo decimale, anche perché già atteso dai consumatori e quindi poco incisivo sulle loro scelte.

Questa partita si gioca poi sul terreno delicato dei consumi interni, a cui è affidato quasi integralmente l’effetto di spinta della manovra dopo la rimodulazione degli investimenti. Consumi che a fine 2018 si sono appiattiti contribuendo alla frenata congiunturale appena certificata dall’Istat.

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