Il Pnrr, lo sviluppo e il bene comune
di Piero Formica
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È tanto il richiamo che esercita la crescita del PIL, e tanti sono attratti dal fascino discreto del borghese Jean-Baptiste Say. Con il suo Tableau économique l'economista francese aprì la porta alla speranza che possa crescere indefinitamente la produzione di beni in quantità sempre maggiori. Al party dell'accumulazione quantitativa, la contabilità del cambiamento climatico non è invitata. Se non c'è misura, è assente l'interesse per ideare a favore della vita del pianeta, dell'aria pulita e della salute umana. Per quanto il compito sia tutt'altro che semplice, l'International Financial Reporting Standards è impegnato nella creazione di norme contabili riguardanti i beni pubblici donateci dalla natura. È la rivoluzione contabile a tracciare una linea di demarcazione tra produrre cose in sintonia con il benessere degli umani e delle altre specie animali e vegetali e fare business spronati dalla passione esclusiva per il denaro. Da quella rivoluzione si apprende che l'utilità personale che reca un prodotto è subordinata al suo contributo al bene comune, quello che è condiviso da tutti i membri della comunità Terra. Un apprendimento che richiede la frequentazione di pensatori che da Aristotele al sociologo Thorstein Veblen e oltre hanno sottoposto a scrutinio critico il modo consuetudinario di pensare.
Le risorse finanziarie del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che direzione imboccheranno? Seguendo la consuetudine, le decisioni di produrre beni e servizi saranno prese adoperando il metro dell'efficienza che alloca le risorse basandosi sulla credenza di operare in un mondo di concorrenza perfetta dove l'obiettivo della redditività privata non impedisce di perseguire l'equità? Il mondo in cui viviamo ci dice il contrario, ci parla di disuguaglianze crescenti. Come si può sostenere che l'allocazione delle risorse sia efficiente – scrive Steven Klees dell'University of Maryland – se metà del mondo sta morendo di fame? WeWorld Index 2021 segnala che << In conseguenza dei cambiamenti climatici, nel 2030 150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto a oggi; 258 milioni di bambini e bambine non ricevono ancora un'educazione adeguata; alla fine del 2021, nel mondo, 435 milioni di ragazze e donne si troveranno sotto la soglia di povertà. I progressi fatti negli ultimi anni volti a raggiungere gli Obiettivi dell'Agenda 2030 hanno segnato una battuta d'arresto con l'arrivo del Covid-19>>. Quel metro dell'efficienza è un bastone dritto che colpisce l'equità, ma noi, direbbe Voltaire, lo vediamo immerso nell'acqua della quantità dove appare piegato per concorrere alla capacità di comprensione dell'altruismo che contraddistingue l'equità.
Il PNRR esige pensieri fertili quando, nel tempo corrente della trasformazione digitale, si intravede uno scenario che potrebbe non essere a beneficio di tutti i viventi. L'economia corre il rischio di vedere contrarsi la qualità del benessere sociale e del rapporto del corpo e della mente con la natura, producendo una maggiore quantità di cose che reca addizionali vantaggi per pochi. Senza contare che quando uno shock come il Covid19 blocca la quantità sbarrando le rotte di trasporto delle merci, l'efficienza così come intesa deve sperare che il blocco abbia presto termine per poi riprendere la sua corsa accelerando. Di quell'efficienza ne avremo allora troppa. Non è più sopportabile la prosperità alzata con la leva dell'efficienza che comporta costi devastanti per gli umani, le altre specie viventi e la natura. La prosperità da perseguire ha a fondamento quel bene pubblico che è la protezione dalle catastrofi sociali e ambientali. Nel corso di questo secolo, avranno successo le imprese che accelereranno la transizione verso l'economia verde, con creatività e con l'impiego di tecnologie che contribuiscono alla salute del nostro pianeta.
piero.formica@gmail.com
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