ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùA tavola con Manfredi Lefebvre D’Ovidio

«Il potere appare solido quando lo hai tra le mani. Ma non è mai così»

«Le società del nostro gruppo sono molto liquide. Per questa ragione non abbiamo paura del rialzo dei tassi. In passato, ho sperimentato la debolezza congenita delle attività imprenditoriali con una leva di debito eccessiva.

di Paolo Bricco

Illustrazione di Ivan Canu

6' di lettura

«Le società del nostro gruppo sono molto liquide. Per questa ragione non abbiamo paura del rialzo dei tassi. In passato, ho sperimentato la debolezza congenita delle attività imprenditoriali con una leva di debito eccessiva. Credo che la finanza di impresa sia fondamentale nella gestione della quotidianità e nella elaborazione delle strategie. Mi chiedo quale senso possa avere la scelta della Fed e della Bce di continuare ad aumentare il costo del denaro. Esiste una naturale tendenza dell’inflazione a scemare. Le élite dei banchieri centrali, che in Occidente hanno più potere dei ceti politici, non pronunciano mai la parola disoccupazione. Con politiche monetarie così restrittive, questo è il rischio: attivare meccanismi deflattivi durissimi attraverso il taglio dei salari e l’incremento della disoccupazione».

Manfredi Lefebvre D’Ovidio – classe 1953 – è un imprenditore che opera nei viaggi e nelle crociere di segmento elevato. Un settore che – nella dimensione cosmopolita del capitalismo globale – ha una radice italiana consistente, che nel suo caso è impiantata nel bulbo ricco e compatto del Principato di Monaco della famiglia Grimaldi: «Conosco bene Alberto II, principe di Monaco. Il principe mi ha assegnato la possibilità di comprare immobili a titolo personale e poi di rivenderli, con la concessione della qualifica di “commerciante immobiliare”. È una cosa in apparenza piccola, ma rara e significativa», dice Manfredi.

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Siamo a Le Grill, il ristorante stellato dell’Hôtel de Paris Monte-Carlo guidato da Dominique Lory, allievo di Alain Ducasse. L’affaccio sul principato, sulla Costa Azzurra e sulla riviera ligure è bellissimo. La vicenda della sua famiglia è un pezzo della storia del nostro Paese. I Lefebvre erano cattolici fuggiti dalla Rochelle ugonotta, trasferitisi a Grenoble e poi arrivati in Italia con Napoleone. A Napoli aprirono una banca, crearono una cartiera, fondarono una stamperia, installarono le prime illuminazioni a gas. «Noi siamo quelli che gli americani chiamano old industrial money». Nel Secondo dopoguerra la sua famiglia è una delle più influenti di Roma: università e affari, partiti e, a latere, il Vaticano. Manfredi sa che cosa sono la politica e l’economia, i successi e i fallimenti, la tecnica finanziaria inflessibile e il potere solo in apparenza solido, le amicizie e il denaro, Roma e Londra, il Principato di Monaco e Riad, l’Italia e il mondo.

Prima di portarci il menù, il cameriere chiede se vogliamo la carta dei vini: «Io preferirei di no. Bevo un bicchiere di Porto al mese e una birra ogni sei. La convivialità per me è stare con le persone, mangiare con loro, parlare con loro». Manfredi più invecchia e più assomiglia nei tratti del volto a suo padre Antonio Lefebvre D’Ovidio, uno degli uomini più determinanti nell’Italia degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta: «Mio padre è stato fra i principali elaboratori del diritto marittimo. Ha collaborato con Antonio Scialoja già negli anni Trenta alla Rivista del Diritto della Navigazione e, fra il 1939 e il 1942, ha fatto parte della Commissione di riforma dei codici. Fino alla Seconda guerra mondiale è stato un alto ufficiale di carriera nelle capitanerie di porto. Quindi ha insegnato nelle università di Napoli, Genova e Roma e ha aperto lo studio nelle stesse tre città. Operava come avvocato d’affari e come consulente dei gruppi industriali pubblici e delle famiglie del capitalismo del Nord». Manfredi ha anche una vaga somiglianza con Angelo Rizzoli, un volto tondo e una espressione quasi infantile. Per la corporalità statuaria, ricorda Fabrizio Palenzona: «Fabrizio è un mio grande amico. Lui è un cattolico democristiano. Io sono un laico liberale. Ci presentò tanti anni fa il costruttore Marcellino Gavio. Ho un legame fraterno con lui. Tutti gli anni va in vacanza a Rapallo. E io, da Montecarlo, lo raggiungo».

Il family office gestito da Manfredi è socio di Royal Carribbean: nel 2018 le ha venduto, per un miliardo di dollari, i due terzi della società di famiglia Silversea Cruises, convertendo nel 2020 il rimanente terzo in azioni. Il family office ha un valore indicato da Forbes – probabilmente sottostimato – in 1,3 miliardi di dollari. La sua famiglia è azionista di controllo di Abercrombie & Kent, una società che organizza viaggi in tutto il mondo per una clientela facoltosa. Adesso ha acquisito marchio, navi e personale della Crystal Cruises, una compagnia di crociere di segmento elevato appartenuta al gruppo Genting Hong Kong e fallita negli anni del Covid. Con la riattivazione della Crystal Cruises, il fatturato consolidato del gruppo Abercrombie & Kent e Crystal dovrebbe superare l’anno prossimo il miliardo di euro. Racconta Manfredi: «Rientrare nel settore delle crociere, a cinque anni dalla cessione della Silversea, è per me una cucitura fra la strategia del mio gruppo imprenditoriale e la mia storia personale. Non solo perché trent’anni fa abbiamo basato, qui a Montecarlo, la Silversea. Ma ancora prima, perché nell’educazione agli affari, quando da ragazzo studiavo legge alla Sapienza di Roma, mio padre voleva che io lavorassi per tre mesi all’anno. Un anno stetti a Milano con Giorgio Corsi, l’amministratore delegato per le attività finanziarie della Montedison. Un anno a Londra alla banca d’affari White Weld. Un anno a Città del Messico nel gruppo siderurgico Tamsa. E, appunto, qui a Montecarlo, un anno alla Sitmar, una compagnia di crociere che poi mio padre comprò, e un altro anno nella compagnia di shipping Vlasov».

Per antipasto prendiamo entrambi del foie gras, accompagnato da verdure e da petali di fiori e servito con toast caldi. Inoltre, è portato del burro che si può spalmare su del pan brioche delicatissimo. La fisica del cibo ricorda la fisica del potere. Il panetto di burro, prima di toccarlo, risulta perfetto. È bianco e geometrico. Il potere ha geometrie che, nella loro variabilità, sembrano non tangibili e non modificabili, per chi in quel momento disegna e interpreta le sue linee. Dice Manfredi: «Il potere è fluido e instabile. Il potere, quando lo hai tra le mani, appare solido e infrangibile. Ma non è mai così. Mio padre Antonio aveva, tra i tanti amici intimi e duraturi, un democristiano di grande caratura come Giovanni Leone, presidente della Repubblica, e il leader socialista Francesco De Martino. Nella nostra casa ai Parioli e poi nella nostra villa sulla Cassia, erano spesso ospiti Mariano Rumor, Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Paolo Leone, il figlio del presidente, era mio compagno di scuola. Suo papà era il padrino di battesimo di mio fratello Francesco. Noi ragazzi facevamo le feste di compleanno nei giardini e nel palazzo del Quirinale». A tavola è servito un pollo di campagna cotto con aromi ed erbe provenzali.

Roma è il cuore dell’Italia del Secondo dopoguerra.

Negli equilibri geopolitici internazionali, il nostro Paese conta perché è una cerniera fra Occidente e blocco comunista e perché ospita il potere spirituale e temporale del Vaticano. I meccanismi di potere di Roma riflettono e assorbono quello che accade al di fuori delle mura aureliane. Nel 1976 il gruppo americano produttore di aerei e di armi Lockheed ammette di avere pagato tangenti a politici e militari per ottenere commesse nei Paesi Bassi, in Germania, negli Stati Uniti, in Giappone e in Italia. In Italia il caso riguarda i quadrimotore da trasporto C-130. «Mio zio Ovidio era rappresentante per l’Italia del gruppo americano. Ma tutta la mia famiglia venne coinvolta per colpire il presidente Giovanni Leone. Mio padre Antonio fu coinvolto per la centralità che aveva in quel mondo, ma anche e soprattutto perché attraverso di lui fu raggiunto il presidente della Repubblica. Tanti anni dopo i radicali di Marco Pannella si scusarono con Leone, perché su di lui non c’era nulla».

La vicenda internazionale della Lockheed generò una rimodulazione violenta degli equilibri nella politica e nell’economia pubblica italiane. «Ho capito bene allora che il potere è quanto di più apparente e variabile vi possa essere. Anche quando le gerarchie sembrano solide. È stata una lezione di vita», dice con distacco ma senza compiacimento Manfredi.

In tavola, insieme ai caffè, vengono portati due soufflé. Il suo è al Grand Marnier. Il mio è al cioccolato. Manfredi Lefebvre D’Ovidio appartiene allo stesso tempo a tante epoche storiche e a tanti luoghi. È appartenuto a un mondo che non esiste più: «Edoardo Agnelli – ricorda estraendo una storia dalla sua memoria – era una persona dolcissima e fragile. Eravamo amici. Io ero a Londra. Lui venne a stare da me qualche giorno. Al mattino presto squillò il telefono. La voce di Gianni Agnelli, senza presentarsi e senza salutare, disse solo due parole: “Cerco Edoardo”. Io gli risposi: “Edoardo non è qui”. Quando Edoardo si svegliò, gli dissi che lo aveva cercato suo padre. Lui diventò bianco in volto e si agitò tantissimo. Era una persona di grande qualità e delicatezza, ma con una totale dipendenza dal giudizio del padre».

Allo stesso tempo, però, appartiene a un mondo da costruire: «La pandemia ha cambiato tutto. La globalizzazione esiste ancora, ma ha assunto nuove forme. Il mondo sta mutando. Lo shipping
e la crocieristica sono un settore da riorganizzare,
ma rappresentano ancora una delle forze propulsive della modernità e un pezzo importante del business», dice Manfredi Lefebvre D’Ovidio osservando,
in una giornata di sole primaverile, il blu intenso e stordente del Mediterraneo, fra la Costa Azzurra e la riviera ligure.

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