Il pricing? Ecco perché lo deve gestire il top management
È necessaria un’evoluzione verso una maggiore focalizzazione sulla componente di margine, a discapito del classico orientamento su vendite e fatturato
di Gianni Rusconi
4' di lettura
Gli incrementi del prezzo di un bene o di un servizio possono avere un effetto moltiplicatore da tre a quattro volte superiore sulla redditività rispetto a un analogo aumento dei volumi di vendita. Ma non solo. Vari studi dimostrano come le aziende che decidono di affidare la strategia di pricing a un C-Level ottengono di norma un significativo vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Per qualsiasi impresa un corretto posizionamento di prezzo è oggi più che mai cruciale e costituisce un elemento fondamentale per garantire la profittabilità attuale e futura dell’organizzazione. Ed è pensiero sempre più condiviso che tale responsabilità debba essere in carico al top management.
Un’indagine di Premoneo, Pmi innovativa italiana (nata come startup DynamiTick ed entrata a far parte successivamente del Gruppo Vedrai), specializzata nello sviluppo di software per le attività di pricing e forecasting, ha rilevato in proposito come per un’azienda di medie dimensioni una crescita dei volumi dell’1% porti a un aumento del 3,3% dell’utile operativo senza che vi sia alcuna diminuzione del prezzo. Assumendo invece un incremento dell’1% dei prezzi, e senza variazioni in termini di volumi, il salto in avanti a livello di margini operativi può invece superare l’11%.
Hermann Simon, forse il più grande esperto di pricing al mondo, scriveva nel 2017 come nelle aziende dove il Ceo era fortemente coinvolto nella definizione del pricing, tale strategia aveva un potenziale di un terzo maggiore rispetto alla media. Un impatto sostanziale sulla profittabilità, quello del pricing, che presenta però anche un rovescio della medaglia: una mancata o errata gestione del prezzo può avere effetti immediati fortemente negativi sulle performance economiche dell’azienda. La definizione del (giusto) prezzo è dunque un processo delicato, che presuppone un’azione continua di analisi, valutazione e implementazione al fine di riflettere (il più possibile) il reale valore del prodotto/servizio sul mercato in quel determinato momento.
Affinché questo possa accadere, è necessario che il prezzo diventi un tema di discussione del management insieme a tutti gli altri indicatori di performance classici, a cominciare dagli scostamenti del fatturato rispetto ai target prefissati. Se, per chi guida l’azienda, la priorità è definire le azioni più adeguate per raggiungere gli obiettivi previsti, ecco che si rende necessaria anche un’evoluzione della sensibilità del management verso una maggiore focalizzazione sulla componente di margine, a discapito del classico orientamento su vendite e fatturato.
Ai top manager spetta dunque il compito di realizzare un percorso che parte dalla definizione di una strategia di pricing e converge in un sistema di gestione del prezzo basato su strumenti che ottimizzano questo processo, e quindi software di pricing management e tecnologie di intelligenza artificiale in grado di estrarre informazioni ed insight dai dati aziendali (produzione, vendita, clienti, stock, promozioni e altro), integrarli con i dati provenienti da fonti esterne ed analizzarli per determinare gli elementi chiave utili a capire come e quando sia opportuno modificare il prezzo.
Quando i C-Level sono coinvolti, conferma Federico Quarato, Amministratore Delegato di Premoneo, “significa che il pricing può diventare un elemento della cultura del management aziendale ed essere sempre allineato a strategia e posizionamento di mercato. Questo vale anche in Italia e vale soprattutto nei mercati ad alta competitività”.
La consuetudine che vuole la definizione del pricing essere un’attività di competenza solo di sales manager e (di riflesso) dei Chief Marketing Officer implica di conseguenza dei correttivi. “Quando la funzionalità del pricing è ancora suddivisa tra top management, marketing e forza vendita - aggiunge Quarato -, rileviamo un’efficacia mediamente più limitata: spesso, infatti, i prezzi applicati sono figli del margine operativo e della sensibilità dei team di vendita invece che della strategia stabilita a monte. Quando ciò accade, è indispensabile sovvertire questa tendenza”.
L’eventuale scarsa cultura digitale del top management non rappresenta invece un particolare rischio per l’efficacia della governance delle strategie di pricing. In linea generale, come suggerisce ancora l’Ad di Premoneo, “ciò che deve sviluppare ogni Ceo è la sensibilità al pricing. Chiedersi se è ancora attuale applicare una strategia che somma costo di produzione a margine desiderato è il primo passo per scoprire quanto sia importante focalizzarsi su questa componente con professionisti formati, facendo inizialmente leva su tecnologie più tradizionali e già presenti in azienda, come i fogli di calcolo o i sistemi Erp, e poi investendo su modelli matematici e intelligenza artificiale”.
Non è quindi un caso che sempre più aziende, in mercati diversi, abbiano designato un Chief Pricing Officer e messo a sua disposizione persone con competenze verticali e strumenti specifici. Quanto al profilo più indicato per rendere il prezzo un tema di discussione condiviso a tutto il top management, non c’è una regola precisa da seguire.
“Spesso - conclude Quarato – rileviamo come sia il Cfo a spostare il focus sulla strategia di pricing, perché la sua visione di insieme sui numeri aziendali permette di rilevare eventuali aree di miglioramento in termini di margine finito. A volte invece è il Chief technology officer a proporre alle funzioni di marketing e sales tecnologie di AI in ambito pricing e forecasting, e quando tali funzioni sono alleate nell’efficientamento dei processi, questo tipo di innovazione può arrivare con un approccio bottom-up al tavolo del top management. È comunque tutta una questione di sensibilità al pricing: vince chi la scopre per primo e la rende un tema di sviluppo strategico”.
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