strumenti musicali

Il produttore di chitarre Gibson fa domanda alla corte fallimentare

di Francesco Prisco

A destra Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, con l’inseparabile Gibson Les Paul (Reuters)

3' di lettura

E anche per Gibson Brands - gruppo che in 116 anni ha scritto la storia della chitarra elettrica e negli ultimi quattro ha dovuto fare i conti con uno sfortunato tentativo di diversificazione e le nuove regole sull’import di palissandro - venne il giorno del famigerato «Chapter 11». Il colosso americano della sei corde, nei decenni marca prediletta di mostri sacri dello strumento come B.B. King, Jimmy Page e Angus Young, ieri ha presentato presso la Corte del Delaware istanza di fallimento con un piano di turnaround debito/equity che trasforma alcuni dei suoi finanziatori in azionisti.
Una mossa complessa che punta a fare fronte a un’esposizione bancaria che potrebbe raggiungere i 500 milioni di dollari attraverso un nuovo prestito di 135 milioni da parte dei finanziatori. Risorse che dovrebbero consentire agli stabilimenti di Nashville, Memphis e Bozeman di continuare a produrre senza eccessivi contraccolpi. Gibson ha fatto sapere di aver raggiunto un «accordo di sostegno alla ristrutturazione» tra i suoi più grandi azionisti che passa il controllo ai detentori di più del 69 per cento delle obbligazioni garantite dovute quest’anno.

Gibson, il suono della bancarotta

Tra gli obbligazionisti figurano Silver Point Capital, Melody Capital Partners e i fondi affiliati a Kkr Credit Advisors. L’accordo cancellerà la partecipazione azionaria del 36% detenuta dal ceo (ed ex chitarrista) Henry Juszkiewicz, al timone da 32 anni, e il pacchetto del 49% detenuto dalla società in accomandita che fa capo a David Berryman, presidente del gruppo. Juszkiewicz e Berryman a marzo scorso avevano provato ad accordarsi con Kkr Capital Advisors per un piano di ristrutturazione «soft», ma soltanto qualche settimana più tardi le trattative erano fallite a causa di opinioni «significativamente divergenti» su «la giusta considerazione per le varie parti coinvolte». I due manager hanno accettato di restare al di là della ristrutturazione «per facilitare una transizione senza intoppi».

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Gibson, la chitarra per eccellenza

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La sciagurata operazione Philips Audio
Fortuna che l’orizzonte non è tutto nero: la società ha dichiarato che le attività nazionali e internazionali nel settore degli strumenti musicali stanno registrando ottime performance (siamo a 170mila pezzi venduti in un anno) e generando un flusso di cassa positivo. Il problema, semmai, sta nelle attività non «core»: nel 2014 Gibson si è infatti indebitata per 135 milioni di dollari per rilevare la divisione audio del gruppo elettronico olandese Philips. L’idea iniziale era quella di farne la società di punta, a livello mondiale, nella produzione di cuffie hi-fi, un segmento tornato a crescere nell’epoca dello streaming. E invece la nuova controllata, Gibson Innovations, si è presto trasformata in una terribile palla al piede. Qualcosa di cui liberarsi in fretta, secondo le intenzioni del nuovo business plan.

«Caro» vecchio palissandro
Ma non di sola «elettronica» si è ritrovata a soffrire la casa produttrice delle iconiche Les Paul, Sg e Thunderbird, proprietaria dei leggendari marchi Wurlitzer (pianoforti e juke box) e Slingerland (batterie). Secondo la ricostruzione effettuata a febbraio scorso da S&P Global Ratings, Gibson a partire dal 2017 ha dovuto fare i conti con l’entrata in vigore della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione, un provvedimento che ha creato non pochi problemi sul versante dell’importazione del palissandro, legno fondamentale per la produzione di chitarre e bassi. Già cinque anni prima il gruppo con sede legale a Nashville si era accordato con il Dipartimento di Stato americano per porre fine a una vertenza su presunte importazioni illegali di ebano e pallisandro.

Il futuro? Nel core business
L’operazione Philips da un lato e la crisi del palissandro dall’altro, secondo S&P, hanno eroso in maniera preoccupante utili e redditività di Gibson. Il tema, adesso, diventa rassicurare il mercato. «Negli ultimi 12 mesi - ha detto Juszkiewicz - abbiamo compiuto notevoli passi avanti attraverso una ristrutturazione operativa. Abbiamo venduto marchi non core, aumentato i profitti e ridotto la domanda di capitale circolante. La decisione di rifocalizzarci sul nostro core business, gli strumenti musicali, unita al significativo supporto dei nostri clienti, ci assicurerà la stabilità a lungo termine e la salute finanziaria dell’azienda». Senza la quale Eric Clapton non avrebbe avuto in mano la Les Paul «Beano», Bob Dylan la Sj-200 e Jimi Hendrix la Flying V psichedelica.

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