Il rent-a-car in crescita teme la carenza di auto nel pieno dell’estate
La crisi dei microconduttori ha dirottato molte delle vetture verso il noleggio a lungo termine per soddisfare i clienti in attesa di consegne
di Pier Luigi del Viscovo
3' di lettura
Il noleggio a breve termine ha registrato nel 2021 una crescita del giro d’affari del 44% sviluppando oltre 850 milioni di euro contro i 600 del 2020. Al contrario, il raffronto con il 2019 restituisce ancora un gap negativo del 31%.
Intanto lo scorso anno, mentre gli operatori tenevano sotto osservazione la mobilità e le sue restrizioni, intermittenti lungo il corso dell’anno tra curve pandemiche e somministrazione dei vaccini, ben presto si profilava un fronte critico nella parte alta della filiera: le forniture di veicoli da parte dei costruttori.
L’industria automobilistica europea, caratterizzata da decenni di sovraccapacità produttiva, era solita rendere disponibili le vetture al rent-a-car a condizioni eccezionalmente favorevoli, avendo l’obiettivo di immettere sulle strade un volume di produzione che la domanda non riusciva ad assorbire, non a prezzi normali almeno.
Nel 2021 la crisi dei microchip prima e la carenza di altri componenti poi hanno ridotto drammaticamente la capacità produttiva delle fabbriche, costringendo i costruttori a centellinare il prodotto, che è ovviamente stato indirizzato ai canali più profittevoli. Si aggiunga pure la necessità di riequilibrare il mix produttivo a favore dei veicoli a basse emissioni di CO2, quelle auto elettrificate la cui domanda è inferiore alle necessità: se non crescono loro, resta solo da abbassare le altre.
La combinazione dei fattori ha portato l’industria ad attestarsi su volumi molto inferiori a quelli pre-Covid. Non è ben chiaro se, quando e di quanto vogliano tornare a spingere sui volumi, anziché restare su un livello molto più profittevole. È una partita con importanti ricadute occupazionali e dunque difficile da considerare conclusa. Per il rent-a-car si tratta di capire se ripensare prezzi e volumi, niente di più.
La carenza di vetture ha imposto una politica di flotta anomala, passata dal tenere le auto in flotta lo stretto necessario per intercettare il picco stagionale al conservarle anche oltre i dodici mesi, portandosi appresso un’attività di manutenzione ordinaria e i relativi costi.
L’altra ricaduta è stata una scrematura del mercato simile a quella operata dai costruttori, che ha privilegiato anche qui i clienti che pagano di più, ossia quelli consumer. Segmento che però è comunque rimasto depresso, mentre quello business ha recuperato molto di più.
Insomma, nel 2021 gli operatori del rent-a-car si sono trovati a fronteggiare una ripresa della domanda variegata. Il noleggio alle imprese è andato abbastanza bene, ormai poco distante da quello 2019 in generale, ma con livelli di domanda molto alti per i furgoni e meno per le vetture, per il ritardo con cui le imprese stanno tornando ai livelli precedenti di incontri in presenza, che resta una delle ragioni fondamentali del rent-a-car per motivi d’affari.
Il canale più solido è stato quello dei furgoni, che ha chiuso sopra del 20% rispetto al 2019 allungando la durata media del 30% e dunque portando l’utilizzo al 70%, con immaginabili riflessi positivi sulla redditività. Molta di tale crescita è trainata dal parcel delivery.
Il noleggio di vetture alle imprese di Nlt è invece ancora distante dai livelli 2019, probabilmente per la difficoltà a fornire auto pluri-mensili, garantendo invece meglio quelle per sostituzioni brevi.
Quello che invece è stato ancora molto distante dai livelli storici è il segmento del turismo leisure. Apparentemente, quello diretto sembrerebbe andato meglio di quello intermediato da broker, però nel primo devono aver giocato fattori diversi dal turismo, a giudicare dalla durata media decisamente abnorme, che ha gonfiato i giorni di noleggio. In ogni caso, la carenza di vetture mette gli operatori nella condizione di poter rivedere le politiche commerciali e di canale, in particolare verso gli intermediari che nel decennio scorso avevano molto aumentato la capacità di intercettare i clienti, facendo leva su contratti di volume che adesso sembrano improbabili.
Ultimo ma non meno importante, l’equilibrio tra stazioni di città e in aeroporto. Storicamente, gli aeroporti hanno intercettato il 60% della domanda con un quinto delle stazioni. Lo scorso anno le stazioni di città hanno prodotto metà del fatturato e assorbito il 60% dei volumi. Con un livello di prezzi che potrebbe stabilizzarsi a valori superiori, la redditività di questo 80% di stazioni potrebbe migliorare e indurre gli operatori a rivedere anche questa parte del business, soprattutto se i volumi da turismo leisure e business internazionali, che arrivano negli aeroporti, dovessero attestarsi a livelli inferiori rispetto al traffico nazionale.
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