Interventi

Il ribaltamento dell'impostazione del Pnr

Il Piano è nato sul lato “input” (con le proposte dei ministeri e Agenzie di spesa, malamente assemblate) e non sul lato “output” (i risultati attesi da realizzare in pochi anni)

di Alfredo De Girolamo

(LAPRESSE)

3' di lettura

Sul Recovery Fund ormai non si torna più indietro. Ecco allora che il primo obiettivo del Governo guidato da Mario Draghi è riscriverlo, visto che la bozza presentata da Conte al Parlamento ha mostrato a molti, da Banca d'Italia alla Corte dei Conti sino all'Ufficio parlamentare di Bilancio, debolezza e genericità.

La Comunicazione di Draghi al Senato, in occasione della fiducia, parla chiaro: “dobbiamo rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che lo accompagnano”.

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Le linee di indirizzo europee sono chiare, ma come deve essere riscritto il PNRR? Alcune idee. Serve ribaltare lo schema del Piano, nato sul lato “input” (con le proposte dei Ministeri e Agenzie di spesa, malamente assemblate) e non sul lato “output” (i risultati attesi da realizzare in pochi anni).

È augurabile che il nuovo Governo ponga al centro la sua “messa a terra”, selezionando progetti che abbiano caratteristiche di realizzabilità oltre che di strategicità e coerenza con gli obiettivi europei.Questo cambio di approccio consentirebbe di selezionare poche linee strategiche di investimenti pubblici cantierabili: trasporti, banda larga, energia, servizi ambientali, sanità, edilizia pubblica e scolastica.

La Comunicazione del neo Presidente sembra andare in questa direzione: “selezioneremo progetti coerenti, prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell'arco dei 6 anni del Programma”.Su questo punto Draghi ha come naturali alleati industriali le utilities nazionali e quelle locali. Aziende solide finanziariamente, capaci di progettare e gestire cantieri, quindi di gestire bene i Fondi europei.

Anche il richiamo di Draghi al “ruolo dei privati” va in questa direzione. Se questo è l'obiettivo più importante e urgente, la prima infrastruttura da realizzare è di tipo immateriale: una riforma radicale del sistema delle autorizzazioni e degli appalti pubblici.

Applicare a tutta Italia e in tutti i settori lo schema “ponte di Genova” è la principale riforma da abbinare al Piano e va descritta con cura. La Comunicazione del Presidente parla di una generica e forse troppo vasta “riforma della Pubblica Amministrazione”. E' urgente intervenire subito sui processi che facilitano gli investimenti. La seconda infrastruttura immateriale riguarda innovazione, educazione e ricerca. Ovvero quelle basi strutturali che rendono competitivo un Paese.

Un Paese che ha un basso tasso di spesa in innovazione e ricerca, con un sistema scolastico in crisi e provato dal Covid, un sistema della formazione professionale da rifare, ha una grande urgenza di innovare, soprattutto nel settore della pubblica amministrazione. In questo quadro si inserisce il tema della digitalizzazione dell'economia e della pubblica amministrazione.

Su questo punto il Governo sembra ben orientato. Rivoluzione verde e transizione energetica non possono essere attuate solo con il finanziamento di infrastrutture, reti ed impianti. Servirà usare i Fondi europei per creare le condizioni di mercato che favoriscano la green economy: incentivi, disincentivi, strumenti economici, tasse ambientali. Accanto agli incentivi energetici potrebbe essere inserito un pacchetto di strumenti economici per sostenere economia circolare, riciclo, recupero energetico.

Per questo il nuovo ministero della Transizione ecologica è utile, purché sia il motore della semplificazione per la realizzazione di infrastrutture. Senza uno snellimento del sistema infatti, la transizione ecologica non può partire. Molte pratiche sono ancora ferme in attesa della valutazione di impatto ambientale, che bloccando un impianto, di fatto, impedisce anche il raggiungimento degli obiettivi ambientali e la creazione di nuovi green jobs. Il sistema dunque è ingessato, e riformarlo significherebbe aumentare la credibilità di tutta la green economy, in primis agli occhi dei cittadini che tanto ne sentono parlare e che poi vedono nella realtà pochi cambiamenti.

I temi da cui partire sono molteplici, basti pensare alla bonifica dei siti inquinati – 42 di interesse nazionale ma ben di più se si contano quelli scala regionale, qualche migliaio – argomento totalmente assente nel PNRR, oppure agli impianti di biogas: 160 sono al palo, da Nord a Sud, per via delle proteste dei vari comitati del No. Infine, molti parchi eolici e solari sono vittima della stessa sindrome Nimby (not in my backyard).

Far ripartire questa complessa macchina vorrebbe dire dare un senso davvero alla transizione energetica ed ecologica.

L'inclusione sociale è infine il terzo pilastro. Serve, prima di tutto, un “Piano Casa” per risolvere i crescenti problemi di disagio abitativo, specie dopo il Covid19. Potrebbe essere l'occasione per far decollare in Italia un welfare moderno.Insomma, c'è molto da fare. Il nodo della Governance è solo in parte chiarito con l'attribuzione del Piano al ministero dell'Economia e Finanza.

Resta da capire se saranno coinvolti nella scelta dei progetti Regioni e Comuni, oppure se Draghi confermerà l'approccio centralistico del precedente Governo. Speriamo davvero di sì.

(@degirolamoa)

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