Il riscatto passa da musei e archivi d’impresa
di Antonio Calabrò
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L’Italia è creatività, spirito d’intraprendenza, senso di comunità aperta e inclusiva. Partecipazione. E ha rivelato, anche in queste stagioni di malattia e dolore, un capitale sociale di straordinario valore, in cui le radici nella tradizione, il genius loci della bellezza e del “fare bene”, si incrociano con un forte spirito d’innovazione. Il nostro dovere, oggi, è “Fare memoria”, per usare le parole del discorso di fine d’anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, attento a parlare di «serietà, responsabilità, solidarietà». E dunque costruire futuro. Un futuro migliore per la next generation, come ci chiede il Recovery Plan della Ue, insistendo su ambiente, innovazione digitale, formazione. Una sfida generale di cultura.
Ha appunto ragione Francesco Rutelli, presidente dell’Anica, quando sulle pagine de Il Sole 24 Ore del 31 dicembre nota: «Cultura d’impresa e imprese per la cultura: su queste strade il Recovery e la reputazione dell’Italia saranno meno effimeri, più sostenibili e credibili». È il tempo dei costruttori, ha ricordato sempre il Capo dello Stato. Le industrie del cinema e dell’audiovisivo rappresentate da Rutelli sono un nostro naturale alleato e un partner per la diffusione e il rafforzamento della consapevolezza popolare del valore e dei valori espressi dalle imprese. Il fare, il produrre, il custodire e l’innovare hanno tutti un minimo comune denominatore: una cultura quale autentico filo conduttore del sistema Italia, un punto di forza della nostra identità aperta e dialettica e della nostra competitività internazionale, un patrimonio che ci viene invidiato nel mondo e che oggi, mai come prima, è leva di ricostruzione e di sviluppo.
Cultura politecnica. Scienza. Ricerca di valore mondiale. E imprese sanitarie e farmaceutiche, robotiche e meccatroniche, università e società di servizi hi tech tutte impegnate nella tutela di un bene pubblico, la salute, declinato in una cultura civile in cui istituzioni pubbliche, imprese private e strutture sociali del volontariato e, più in generale, del terzo settore camminano insieme.
Fare. E fare sapere. Serve, appunto, una nuova capacità di racconto dell’impresa che va rilanciata anche e soprattutto con la valorizzazione dei nostri musei e archivi, tutti ricchi di storie capaci di appassionare anche le giovani generazioni. Lo abbiamo sperimentato in questi mesi di lockdown. Senza le imprese audiovisive non vi sarebbe stata la possibilità di continuare a fare vivere i patrimoni di memoria d’impresa e a sostituire, con la rappresentazione digitale, quello che ci è stato impossibile fare di presenza. Una svolta culturale digitale, di forma e contenuto, che non va affatto persa ma deve costituire, per tutti gli attori culturali e per le imprese, un nuovo territorio di collaborazione.
Abbiamo importanti sfide davanti ai nostri occhi ma spesso sembra mancare la visione, quell’élan che dovrebbe spingerci a comprendere come gli aiuti che arriveranno dall’Europa sono investimenti sul futuro, i giovani, le nuove competenze e non fondi per bonus e sussidi di corto respiro.
Nel 2020 abbiamo ricordato i cento anni dalla morte – dovuta alla terribile “spagnola”– di Max Weber. La sua lezione è di grande attualità: «La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile». Un orizzonte ben diverso da quel che ci mostra la cronaca della quotidiana pratica politica e di governo.
Abbiamo riscoperto il turismo “di territorio”, “di prossimità”. E spesso proprio gli imprenditori si sono fatti ambasciatori dei territori delle loro aziende. Un’altra conferma dell’impegno di Museimpresa, con i suoi quasi cento iscritti.
Questi luoghi diventano “mitici” e “desiderati” nelle menti degli italiani e degli amici stranieri grazie al racconto che spesso passa per il settore audiovisivo e cinematografico. Il 2021 dovrà vedere sempre più un fattivo dialogo tra il mondo del “produrre” e il mondo del “comunicare”. E il Recovery Plan, come suggerisce anche Federculture, ne può essere strumento essenziale. Facendo leva, appunto sulla cultura d’impresa, intesa come rigore, capacità di “fare, e fare bene” e di affrontare le sfide generate da pandemia e recessione, visione di ampio respiro come quella degli imprenditori che hanno fatto grande l’Italia, a partire da Adriano Olivetti, dall’Eni di Enrico Mattei, dalla Pirelli e da una lunga serie di medie e piccole imprese. Meno parole e comitati e più “produrre” e “trasformare”.
La cultura d’impresa è estranea alla vuota retorica. Ed è, concretamente, attore fondamentale per il riscatto morale e civile del nostro Paese.
Presidente di Museimpresa e vicepresidente di Assolombarda
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