Il rischio scissioni e il futuro di Forza Italia partite cruciali per Meloni
Gli effetti su equilibri nella maggioranza e sulle alleanze in Europa. Urbani e Miccichè: Fi scompare con il Cavaliere. Tajani: è un rischio che non c’è
di Barbara Fiammeri
5' di lettura
«E adesso?»: è la domanda che nel giorno del dolore e del cordoglio risuona nei corridoi semideserti dei Palazzi. La morte di Silvio Berlusconi ha colto tutti di sorpresa. Nessuno, neppure i più vicini, avevano ipotizzato che quello di venerdì potesse essere il suo ultimo ricovero. Dopo l’ingresso in ospedale aveva parlato personalmente con la premier Giorgia Meloni, chiedendole degli sviluppi sulla situazione in Tunisia, con Matteo Salvini e con Antonio Tajani, che da ministro degli Esteri sarebbe di lì a poco decollato per la missione a Washington e che racconta che mentre era in volo l’ex premier gli aveva inviato un messaggio con una proposta di pace per l’Ucraina. La stessa equipe medica aveva parlato di controlli «programmati» spiegando che le condizioni di salute non segnalavano «né criticità né allarme».
Così non è stato. Ancora una volta il Cavaliere ha spiazzato tutti, ha fatto quello che non ci si aspettava. E quella domanda - «E adesso?» - partita in sordina è destinata a diventare centrale e rumorosa nelle prossime settimane e soprattutto nei prossimi mesi perché la risposta segnerà il presente ma soprattutto il futuro della politica italiana.
A partire dal destino di Forza Italia. Gianfranco Micciché, da tempo in rotta con il vertice azzurro siciliano e non, l’ha data per spacciata con un lapidario «muore con Silvio». Lo stesso ha detto anche Giuliano Urbani, che del partito azzurro è stato tra i fondatori ma che confida però che sia ora Giorgia Meloni a prendere il testimone della «rivoluzione liberale» ambita da Berlusconi.
Certo è che il destino di Forza Italia inevitabilmente si riflette sull’attuale maggioranza, sul governo e anche e soprattutto sulle alleanze in Europa. A oggi Forza Italia è infatti il solo movimento politico italiano a far parte del Ppe e tra un anno esatto si vota per il rinnovo del Parlamento di Starsburgo.
Non è un mistero che la premier stia puntando a rivedere gli attuali equilibri attraverso un rapporto più organico tra il gruppo dei Conservatori, dove i suoi Fratelli d’Italia si avviano a essere la pattuglia più consistente, e, appunto, i Popolari oggi guidati da Manfred Weber, che hanno la pressoché totale certezza di rimanere con qualsiasi maggioranza anche nella prossima legislatura alla guida del governo di Bruxelles: patto di stabilità, Pnrr, transizione verde sono temi che restano centrali. La presenza di una rappresentanza italiana nel Ppe è dunque strategica anche per Meloni. Berlusconi lo sapeva bene, lo sapeva da sempre e infatti lo rivendicava. Non a caso in occasione delle ultime elezioni politiche di settembre dello scorso anno ha voluto ridisegnare il simbolo di Forza Italia aggiungendo «un richiamo» esplicito al Partito popolare europeo «che noi abbiamo l’orgoglio di rappresentare in Italia».
Evitare l’implosione degli azzurri è dunque fondamentale anche per la premier. «La scomparsa di Berlusconi comporta per Meloni dei rischi, a partire dalla tenuta della maggioranza, ma ancor di più delle opportunità se saprà coglierle», spiega il politologo Alessandro Campi. Il riferimento è appunto alla capacità di Meloni ora di avere la stessa visione strategica che Berlusconi ha posseduto e che ne ha fatto il presidente del Consiglio più longevo della storia repubblicana. Una capacità che si è vista fin dall’inizio, anzi ancor prima di quel «L’Italia è il Paese che amo», incipit del discorso con cui il 26 gennaio del 1994 annunciò la sua ufficiale discesa in campo.
Il primo atto politico del Cavaliere - titolo che gli venne conferito nel 1977 - arriva nel novembre del ‘93, quando a sorpresa dichiarò che se fosse stato residente a Roma avrebbe sostenuto come sindaco Gianfranco Fini, allora ancora segretario del Movimento sociale italiano, contro il candidato della sinistra Francesco Rutelli. Fino a quel momento nessuno si era impegnato pubblicamente a favore di un partito che non rientrava nel cosiddetto arco costituzionale. E certo mai Berlusconi avrebbe pensato che un giorno la leadership del centrodestra sarebbe stata conquistata proprio da un’erede di quello stesso partito, dall’allora diciasettenne Giorgia Meloni a cui giusto 30 anni dopo verranno consegnate le chiavi di Palazzo Chigi.
È da lì, da quella scelta che si intravede la nascita del centrodestra e del bipolarismo come poi li abbiamo conosciuti. Berlusconi è riuscito a mettere assieme il nazionalismo di Fini, nel frattempo diventato leader di Alleanza nazionale, con il secessionismo della Lega di Umberto Bossi, il diavolo e l’acquasanta, facendosi – come ha sempre rivendicato – «concavo e convesso».
Meloni si dice «fiera»che Berlusconi abbia potuto contribuire alla nascita di «un altro governo di centrodestra» e non teme le liti interne alla coalizione: «glielo dobbiamo», dice la premier che però allo stesso tempo riconosce al leader azzurro il ruolo di «collante» del centrodestra. Tajani ancora a Washington assicura che Fi continuerà a lavorare nel solco delle indicazioni» del leader scomparso.
Ma la guerra intestina tra gli azzurri rischia di esplodere da un momento all’altro. Più volte è successo e altrettante è sempre stato il lìder maximo a contenerne i danni. In primis sul fronte elettorale. Non c’è dubbio - e i primi a confermarlo sono gli stessi forzisti - che quell’8% che ancora il partito detiene secondo i sondaggisti ma anche secondo gli ultimi verdetti elettorali è in gran parte frutto della popolarità di Berlusconi. Che succederà nei prossimi appuntamenti elettorali (alle europee si vota con il proporzionale e c’è la soglia di sbarramento)? E sempre il Cavaliere è stato il protagonista assoluto delle sterzate forziste. Comprese le ultime.
L’inizio della legislatura è stato piuttosto movimentato e non sono mancati momenti di forte tensione tra lo stesso Berlusconi e la premier sia sul fronte della formazione del governo che su alcune nomine. Poi però, come spesso è avvenuto, altrettanto rapidamente tutto rientra. Berlusconi decide di appianare i contrasti, guarda alle europee del 2024, alla possibile intesa tra il Ppe. Sono i giorni in cui viene ricoverato in terapia intensiva al San Raffaele e si rende nota la diagnosi di leucemia mielomonocitica cronica di cui è affetto da almeno due anni.
Resterà nel nosocomio milanese per 45 giorni durante i quali ha anche registrato due videomessaggi (molto criticati per averlo esposto al pubblico in condizioni precarie). Poi il rientro a casa, il tentativo di restituire un’apparente normalità con la convocazione ad Arcore di un vertice che si sarebbe dovuto svolgere sabato scorso. Non ne ha avuto la possibilità: «Vorremmo non lasciarti mai andare via. Ciao Presidente. La tua comunità politica», è il tweet che campeggia sulla prima pagina del sito azzurro e che ben fotografa lo stato d’animo dei forzisti.
loading...