Il ristorante stellato? Se è in un hotel di lusso il business è più sostenibile
Il 36% dei locali segnalati dalla Guida Michelin sono collegati ad alberghi. Crescono gli investimenti di gruppi come Belmond e Four Seasons. Sinergie positive anche per aziende come Felicetti e Berlucchi
di Emiliano Sgambato
I punti chiave
8' di lettura
Se ne è parlato poco, nonostante il risalto che (giustamente) ha avuto l’assegnazione della terza stella a quello che probabilmente è oggi lo chef più famoso d'Italia: il ristorante Villa Crespi di Antonino Cannavacciuolo è situato all'interno dell’omonimo hotel 5 stelle lusso Relais & Châteaux, splendida dimora a due passi dal Lago d’Orta. Le due eccellenze sono cresciute insieme e hanno preso il volo con la seconda stella di Cannavacciuolo, nel 2006, ma anche con l'ingresso di Villa Crespi nel circuito Relais & Châteaux nel 2012.
Non si tratta di un’eccezione, anzi: oltre il 36% dei ristoranti stellati è collegato ad una struttura alberghiera. Più precisamente, secondo un’elaborazione effettuata per Il Sole 24 Ore dalla Guida Michelin, si tratta di 139 stellati su un totale di 385 (di cui 5 tristellati su 12 e 20 con il “doppio macaron”).
La crescita del prestigio della cucina italiana – sulla Guida Rossa, punto di riferimento per eccellenza, ma non solo: basti pensare alle posizioni in classifica guadagnate nei “50 best restaurant” – attira sempre più turisti ad alta capacità di spesa. Ed ecco che il peso dell'offerta gourmet diventa sempre più importante anche nell’ambito degli investimenti alberghieri.
Guida Michelin: cresce il fine dining negli hotel
«È decisamente un trend in crescita – conferma Sergio Lovrinovich, direttore della Guida Michelin Italia – . Nelle grandi città la ristorazione negli hotel ha implementato una svolta qualitativa da ormai diversi anni. Spesso in passato la ristorazione alberghiera era vista come la classica table d'hôte con un menu fisso o scelta minima sufficiente a soddisfare il bisogno di un pasto per agli avventori sia per lavoro che per turismo. Successivamente, a iniziare da alcune strutture boutique di pregio, e poi via via anche le grandi catene internazionali hanno iniziato ad adeguare l’offerta gastronomica al fine di cogliere una richiesta di maggiore qualità da parte di una clientela sempre più esigente e preparata che, altrimenti, avrebbe cercato altrove. L’ultimo slancio del trend deriva dalla volontà di assumere chef già premiati e di qualità al fine di attrarre clientela esterna all’hotel e, in seguito, avere anche un riscontro di carattere comunicativo sulla qualità dei servizi offerti all’interno della struttura».
Qualche esempio? L'unico tristellato dalla capitale – La Pergola del pluripremiato Heinz Beck – fa parte del Rome Cavalieri. Anche a Taormina le stelle (la seconda nuova di zecca) di Beck brillano nel ristorante St. George dell’Ashbee hotel (5 stelle lusso). E ha fatto clamore nei giorni scorsi l’annunciata chiusura, causa ristrutturazione, del St. Hubertus di Norbert Niederkofler prevista a fine marzo. Una riqualificazione che riguarderà tutta la struttura dell’Hotel Rosa Alpina di San Cassiano, nel cuore delle Dolomiti, a opera del gruppo dell’hotellerie di lusso Aman.
Intanto lo chef altoatesino pare che aprirà nella sua Brunico, e va avanti nell’attività di esplorazione di nuovi confini della sua filosofia “Cook the Mountain” con l’AlpiNN di Plan de Corones (ristorante del Lumen, Museo della fotografia di montagna) e con la collaborazioni come quella con il Kosmo di Livigno, dove la sinergia dagli hotel si allarga ad una stazione sciistica.
A testimoniare il fermento milanese ci limiteremo a citare due novità in zona Quadrilatero della moda. Lo chef Alberto Quadrio è l’executive chef del ristorante del Portrait (Lungarno collection) della famiglia Ferragamo (un progetto che ha recuperato l’antico seminario arcivescovile cittadino). E a settembre ha aperto l’atteso e superesclusivo Casa Cipriani, accessibile però solo ai soci e agli ospiti dell’hotel.
Il peso sui ricavi di Belmond
A Venezia stellati sono il Glam di Enrico Bartolini all’interno del luxury hotel Palazzo Venart e l’Oro del Belmond Cipriani, che ha confermato il macaron nonostante il cambio di chef (Riccardo Canella, già sous chef del Noma): uno dei nomi su cui il Gruppo ha puntato per alzare ancora di più l’asticella, insieme a quanto fatto ad esempio con la giovane (ex) promessa Alessandro Cozzolino, scelto per La Loggia del Villa San Michele a Fiesole (alle porte di Firenze).
«Nel corso degli ultimi anni abbiamo riscontrato, soprattutto in Italia, un trend che ha visto la ristorazione in albergo diventare più attrattiva e promettente – osserva Elisa Puleo, director Food & Beverage per la divisione Sud Europa del gruppo Belmond – sia in termini di offerta che di tipologia di servizio: diventato meno formale, anche se sempre attento e puntuale. In alcuni casi, soprattutto in strutture in stile resort, abbiamo visto il peso della ristorazione sul conto economico dell’albergo toccare il 40%. Nel caso dello Splendido Mare di Portofino con il suo ristorante DaV Mare (il primo ristorante aperto al di fuori degli spazi del tristellato Da Vittorio della famiglia Cerea, ndr), la ristorazione è arrivata a coprire addirittura il 60% dell’intero fatturato».
La strategia è sempre più mirata ai clienti esterni, con quote che toccano anche il 75% se si considera anche il servizio bar, come ad esempio al Grand Hotel Timeo di Taormina, con il suo ristorante stellato Otto Geleng (ai fornelli Roberto Toro).
«La tendenza della ristorazione alberghiera è sempre più di allargare gli orizzonti e rompere l’antica percezione di inaccessibilità da parte della clientela esterna – continua Elisa Puleo –. Mentre negli hotel di città questo fenomeno è già abbastanza consolidato, nei resort hotel è molto raro, e per questo motivo, Belmond è particolarmente orgogliosa di questi risultati capaci, fra le altre cose, di allungare il potenziale della stagione».
Una divisione global ad hoc per il Four Seasons
Il Four Seasons ha portato a Milano i tre chef dei suoi hotel in Italia – Fabrizio Borraccino (Milano), Paolo Lavezzini (Firenze) e Massimo Mantarro (del San Domenico Palace di Taormina) – per cucinare un menù a sei mani nell’hub di Identità Golose e promuovere così la sua offerta culinaria all'interno di una strategia che vede sempre più centrale l’offerta food&beverage a livello globale.
Lo scorso anno è stata infatti isolata la linea di business “Restaurant and Bar Group” alla cui guida è stato chiamato Kimberly Grant, con alle spalle 25 anni di esperienza di gestione in gruppi di ristorazione.
«La divisione rappresenta una parte significativa dei ricavi dell’azienda, con quasi 600 ristoranti e bar in 47 Paesi, oltre a catering, ristorazione in camera e altre attività accessorie – spiega Grant –. Attualmente la crescita prevede altri 225 ristoranti, oltre a più di 100mila metri quadrati di spazi aggiuntivi per catering ed eventi. Il nostro gruppo di ristoranti ha attualmente 31 Stelle Michelin, 25 delle quali sono state assegnate ai nostri chef interni».Anche in questo caso lo sguardo è rivolto soprattutto all’esterno delle strutture: «In molti dei nostri hotel cittadini, la maggior parte degli ospiti dei ristoranti proviene dalla comunità locale o da altri hotel della concorrenza. Di conseguenza, il nostro gruppo di ristoranti e bar opera e si commercializza più come un gruppo di ristoranti indipendenti», spiega Grant.
Gianluca Sparacino, oltre 20 anni in Four Seasons, guida le operazioni F&B della regione Emea dal 2017 e di recente ha assunto un nuovo direttore culinario per la regione in vista degli sviluppi in programma nei prossimi anni, «tra cui la nuova aggiunta alla nostra Italian Collection a Venezia presso l’Hotel Danieli, che diventerà un’esperienza Four Seasons nel 2025», conclude Grant.
Le sinergie permettono una gestione efficiente
Non è difficile intuire che anche da parte di chef e imprenditori della ristorazione ci sia convenienza a collaborare con gli hotel grazie alle sinergie che si creano tra le stelle degli hotel e quelle dei ristoranti, soprattutto se inseriti in catene di lusso, a condizione che abbiano alle spalle investimenti mirati e strutture (fisiche e gestionali) adeguate. In questi casi, infatti, i manager riescono a monitorare la redditività in modo molto più efficiente rispetto a molte location di fine dining che, nonostante i prezzi alti, faticano a mantenere in equilibrio i conti – non è un segreto tra gli addetti ai lavori – a causa di costi di gestione elevati (dal personale alla selezione delle materie prime) e a fronte di un numero di coperti comunque limitato. E, non ultima, la concorrenza sempre più agguerrita. Spesso – con le dovute eccezioni – sono le tv, le collaborazione esterne e le consulenze a permettere agli chef di guadagnare, più che il bilancio strettamente legato al servizio in sala.
Ma non ci sono solo i grandi brand dell’hotellerie a far leva sul food per rafforzare la propria offerta di ospitalità. Esemplare è il resort Therasia che sull’isola di Vulcano può vantare due ristoranti stellati in un’unica struttura. Un’offerta più tradizionale con Il Cappero, guidato da Giuseppe Biuso. E una più innovativa, che punta sulla cucina al 100% vegetale e su uno speciale legame simbiotico con l’isola: Davide Guidara ha preso la guida del “I Tenerumi” nel 2021 e in soli due anni ha ottenuto tre riconoscimenti Michelin (stella “tradizionale” e stella verde, che premia la sostenibilità, oltre che miglior giovane chef). Un talento che è stato aiutato a sbocciare anche grazie all'investimento di 100mila euro su un orto di 1.500 mq (con assistenza di lavoratori locali) che potesse fornirgli a km zero tutto quello di cui aveva bisogno per concretizzare la sua creatività in cucina.
Così ora la nuova strategia di offerta punta ad attirare clienti sull'isola solo per interesse culinario, indipendentemente dal soggiorno in hotel. «Gli investimenti sono sempre allocati dopo un’attenta analisi sia delle necessità che degli obiettivi – commenta Luigi Polito, proprietario del Therasia e con una consolidata storia di impresa di famiglia nell'hospitality con il Botania Relais &Spa di Ischia e come tour operator –. È un preciso equilibrio che sta a noi imprenditori trovare e soddisfare, in tandem con il nostro management. La percentuale che consideriamo come bussola di investimento sull’asset F&B è intorno al 25% sul fatturato di questo comparto».
Le partnership: da Felicetti a Berlucchi
Il momento d’oro del tandem ristorazione-hotel è testimoniato anche da chi ai ristoranti fornisce le materie prime e i vini.
Felicetti – specialista nella pasta di qualità grazie alla sua Monograno – ha chiuso il 2022 con un fatturato sopra i 54 milioni: un salto rispetto ai 41,5 milioni del 2021, ottenuto soprattutto grazie alla crescita produttiva dopo l’inaugurazione del nuovo stabilimento a Molina di Fiemme. Un risultato importante trainato anche dalla ristorazione che pesa per circa il 30% in valore, ma il fatto che le monovarietali di Felicetti siano usate da molti chef è ed è stato fondamentale anche per il retail, come conferma il ceo Riccardo Felicetti (che è anche presidente pastai di Unione Italiana Food): «Non sono in grado di dire con precisione la quota dovuta agli hotel – afferma – ma di certo noi come altri produttori di qualità puntiamo a crescere in questa direzione, perché è un segmento che sta dando segnali importanti, spinto dal ritorno del turismo nel post-Covid, anche se il trend è iniziato prima della pandemia».
Non a caso durante l’ultimo Congresso di Identità Golose allo stand Felicetti hanno cucinato tre grandi cuochi legati ad alberghi: Cristiano Tomei che è (tra l’altro, oltre che chef de L’Imbuto) executive dell'Hotel Bauer a Venezia e del Terraforte del Castello del Terriccio, in Toscana; Andrea Alfieri (Da Noi In, Magna Pars Hotel à Parfum di Milano); e Massimo Piccolo (Rome Marriot Grand Hotel Flora).
«Ma l’uso della nostra pasta – precisa Felicetti – cresce anche nei locali di fascia media, perché con un aumento di costo contenuto si acquisisce una reputazione differente, cambia il barometro delle scelte qualitative in cucina». Anche all’estero: «Ci sono aree geografiche in cui la ristorazione vale per noi il 90% come in Giappone. Alle Maldive – racconta – c’è ad esempio un ottimo ristorante italiano che usa la nostra pasta. Ma in altre zone, come in Uk, facciamo quasi solo retail».
Anche le bollicine di Berlucchi sono cresciute del 33% nella ristorazione in termini di fatturato rispetto al pre Covid. «Osserviamo un mercato che resta vivace nel fuori casa: è andato molto bene per tutto l’anno scorso, e anche ora non sembra soffrire molto la crisi, soprattutto nella fascia alta – afferma Arturo Ziliani, ad della Guido Berlucchi –. In particolare con gli hotel riusciamo a lavorare molto bene perché soprattutto con le catene e i grandi alberghi è stato utile fare una programmazione mirata, data la limitata disponibilità di prodotto. Anche dal nostro punto di vista sta crescendo il binomio tra ristorazione e hotel di lusso dove c’è più attenzione alla qualità e meno al conto medio, grazie a clienti con alta capacità di spesa. Un settore che sta andando meglio ad esempio dei bar, che concentrano molto l’offerta sugli aperitivi e puntano su prodotti dal costo meno elevato».
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