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Il ritorno della nazionalità

Il principio di nazionalità reca in sé il passato, l'insieme di tradizioni e particolarità di un luogo

di Natalino Irti

(Rawpixel.com - stock.adobe.com)

3' di lettura

Perché infelice è l’identità? perché uno studioso del rango di Alain Finkielkraut ne trae titolo per un penetrante e lucido saggio? Infelice è lo smarrirsi e perdersi in un’indefinita e astratta “umanità” cercare e trovare il senso della propria vita – vita individuale e vita collettiva – in un paesaggio omologante, senza sussulti e rilievi, senza ombre e luci inattese. Ma i demoni dell’identità non si lasciano intimorire e soffocare, riemergono improvvisi dagli eventi, e mostrano un’energia cresciuta nel nascosto silenzio di lunghi anni.

Noi siamo il nostro passato. Questa proposizione, che ci viene da lontani filosofi, ha un che di arduo ed oscuro. Il nostro presente, qui ed ora, e il nostro futuro dipendono da ciò che è stato. Non può essere altrimenti, poiché la identità, di noi come singoli individui e della società di cui siamo parti, è ricostruibile e definibile soltanto in base alle azioni compiute, alle concrete opere che ci videro artefici. Di qui l’intrinseca storicità degli individui (dei quali, appunto, si stima o disapprova il carattere), delle comunità, delle nazioni. Il mondo degli uomini non è riducibile a nomi astratti o funzioni tecniche o tipi biologici, ma si scompone e divide nella singolare storicità di ogni individuo e di ogni cerchia sociale (che sia famiglia o categoria professionale, o città, o Stato). Nella vita, nel cammino che attraversa il tempo, mai incontriamo la pura e disincarnata umanità, senza nome e senza volto, ma sempre singoli individui o gruppi di individui, quali si sono costruiti nella loro storica determinatezza. Proprio questo “farsi” li sospinge da esperienza a esperienza, da decisione a decisione, e tutto, infine, si raccoglie nella identità di uomini e di popoli.

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Il corso di lezioni, dettate da Federico Chabod nelle università di Milano e Roma, si apre con un incipit perentorio: «Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica». Cioè di particolarità e singolarità, elevate contro l’astratto cosmopolitismo: il quale – preme qui di precisare – già designava i “lumi” della ragione, o i “naturali” diritti dell’uomo, ed ora si esprime nel dominio planetario della tecno-economia. Né va taciuto che il senso della nazionalità, esaltandosi con “primati” e “missioni” di singoli popoli, o corrompendosi in deliri razziali, è stato fonte di lotte crudeli e di guerre sanguinose. La storia europea ne serba ancora le tracce.

Il principio di nazionalità, nelle diverse forme in cui si manifesta e consolida (linguistica, economica, religiosa ecc.), si trova sempre congiunto e stretto con altri criteri di carattere organizzativo: come, per recare esempi più consueti, il criterio di legittimità dinastica o costituzionale, di democrazia parlamentare, di liberalismo politico, di liberismo o socialismo economico. Su di essi lascia un’impronta particolare, attraendoli nel proprio cerchio e dotandoli di una specifica identità. Può anche accadere che esso sia sovrastato, e reso inquieto e ombroso, da altre strutture, come per trattati istitutivi di alleanze, di comuni organi economici, di coalizioni militari. O formi il sostrato di “grandi spazi”, pronto a riemergere e a far sentire la voce antica.

Il nostro tempo vi ha opposto (non per consapevole disegno, ma nel corso oggettivo dell’economia) forme organizzative “a-topiche”, distese in tutti i luoghi, e perciò in nessun luogo, dove vige la razionalità degli apparati tecnici e il neutrale funzionamento del produrre e consumare. Qui si misurano la capacità di resistenza del principio nazionale e la sua ininterrotta energia, sicché gli uomini, quasi divisi e scomposti in due mondi, ne avvertono ancora il fascino e obbediscono, ora festosamente ora tragicamente, alla sua legge. E appaiono dissennati coloro che ne ignorano la forza storica, fatta di memorie lontane e di presente volontà, e presumono di averlo relegato in soffitta.

Il principio di nazionalità reca in sé il passato, l’insieme di tradizioni e particolarità di un luogo, e scorre ora in superficie ora nel sottosuolo. Spesso riemerge nella sua terribile potenza, rovescia equilibri e ordini degli Stati, e prova a disegnare un nuovo assetto del mondo. È questa, la potenza storica della individualità, a cui anche il grande Chabod, di nascita valdostana e di largo respiro europeo, rendeva schietto omaggio nelle sue pagine. E noi con lui.

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