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Il ritorno alla normalità delle politiche monetarie

di Martin Wolf

(Afp)

4' di lettura

Uno spettro aleggia sull'economia mondiale: con la stretta delle politiche monetarie degli ultimi dieci anni, molti temono un crollo del prezzo dei titoli e un'implosione del sistema finanziario. Le cassandre prevedono (o sperano) che alla fine il mondo dovrà pagare lo scotto dell'interventismo delle banche centrali.

La consapevolezza che le misure adottate dalle autorità fossero rischiose era emersa quasi subito dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008. A giugno 2010, la Banca dei Regolamenti internazionali (Bri) scriveva nella sua Relazione annuale: «È venuto il momento di chiedersi come e quando sarà possibile avviare il graduale rientro dagli energici provvedimenti adottati [sostegno al sistema finanziario, deficit di bilancio, tassi di interesse quasi pari a zero e allentamento monetario]. Non si può ignorare che l'accumularsi degli effetti collaterali rappresenta di per sé un pericolo che, nella più rosea delle ipotesi, implicherebbe un rientro più precipitoso del previsto, cosa che a molti non farebbe comodo».

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Allora le politiche monetarie hanno continuato a garantire il loro poderoso sostegno, anzi nel caso della Bce e della Banca del Giappone hanno fornito un sostegno ancora maggiore, nel corso degli anni. E adesso, finalmente, sta prendendo piede l'idea di una “normalizzazione”. La Federal Reserve ha aumentato i tassi cinque volte, da 0,25 a 1,5 per cento. La Bank of England (Boe) è intervenuta sui tassi una volta, anche se solo per tornare allo 0,5 per cento. Perfino la Bce sta dando segnali di voler ridurre il suo programma di stimoli prima del previsto.

Il motivo principale per cui la normalizzazione è all'ordine del giorno è la ripresa. L'economia mondiale sta finalmente attraversando un momento di crescita forte e sincronizzata.

Le previsioni di crescita quest'anno sono aumentate rispetto all'anno precedente per quasi ogni economia di rilievo. E non sorprende che la Fed abbia anticipato di molto le altre banche centrali. Dopo la crisi finanziaria, le autorità americane sono intervenute prima e in modo più deciso rispetto a quelle europee e giapponesi. La ripresa americana è di gran lunga più sostenuta e l'inflazione di base è anche più vicina all'obiettivo rispetto all'eurozona e al Giappone.

Il processo di normalizzazione è complesso. E questo perché oltre ai tassi di intervento bassissimi (quasi negativi), vi è stata un'espansione dei bilanci da parte delle banche centrali e la Banca del Giapponesi è impegnata a controllare la curva dei rendimenti.

Una banca centrale in genere interviene sui tassi a breve termine, aggiustando il tasso con cui presta denaro alle banche. Ma quando le banche detengono riserve importanti presso la banca centrale (un effetto collaterale automatico dell'allentamento monetario), questa smette di funzionare. Invece le banche centrali aumentano i tassi di mercato aggiustando il tasso che pagano sulle riserve. La Fed lo fa con le “operazioni di riacquisto overnight” che stabiliscono i tassi agli istituti finanziari non bancari.

La Fed può ridurre il suo bilancio smettendo di reinvestire i ricavati delle obbligazioni in scadenza. In tal caso, i prestatori dovranno sostituire le obbligazioni in scadenza prima detenute dalla Fed con quelle detenute da altri investitori. Questi ultimi useranno i loro conti bancari per pagare le nuove obbligazioni. Le banche, a loro volta, utilizzeranno le riserve della banca centrale per regolare le proprie passività. E alla fine, le attività e le passività della Fed diminuiranno gradualmente. Con il tempo, altre banche centrali potrebbero seguire l'esempio.

Se tecnicamente, quindi, la politica di normalizzazione è abbastanza semplice, emergono grossi interrogativi sulla tempistica, sulle conseguenze e persino sul significato di questa normalizzazione.

Riguardo alla tempistica, la Bri non è certo l'unica a dire che la stretta avrebbe dovuto essere operata molto tempo prima. Altri sostengono che, con un'inflazione così bassa, anche negli Usa, la stretta andava ritardata o che andrebbe rallentata ora (o entrambe). Se al momento la questione della tempistica sembra essersi placata negli Usa, soprattutto perché l'economia americana si è dimostrata molto solida, è di grande attualità nell'eurozona.

Quanto alle conseguenze della normalizzazione, gli allarmisti dicono che con rendimenti reali e nominali su obbligazioni eccezionalmente basse, i prezzi dei titoli reali (in particolare le azioni americane) eccezionalmente alti e un fardello del debito molto pesante, la stretta potrebbe scatenare il caos economico.
Già, è probabile che i tassi di interesse nominali e reali aumentino ovunque rispetto ai bassissimi livelli recenti. I rendimenti sui buoni decennali americani sono già molto superiori ai livelli di Europa e Giappone e più di un punto percentuale al di sopra del loro livello minimo.

La Fed ha smesso di acquistare circa tre anni fa e i tassi hanno cominciato ad aumentare solo due anni fa. Eppure niente di questo ha avuto qualche effetto negativo sui prezzi dei titoli o sul sistema finanziario, almeno finora. È plausibile prevedere un crollo significativo dei prezzi delle azioni rispetto ai livelli record attuali, ma è anche vero che le banche sono più solide di dieci anni fa. Ancora non possiamo prevedere se sorgeranno grossi problemi su altri versanti del sistema finanziario, con conseguenze economiche pesanti.

Infine, questo è strettamente legato a cosa s'intende per normalizzazione. Con gli attuali venti di crescita, è difficile che i tassi di interesse reali (invecchiamento e bassa crescita della produttività) e finanziari (alti livelli di debito e prezzi dei titoli) tornino ai livelli pre-crisi. Ma se i tassi restano relativamente bassi, le banche centrali avranno molto meno margine di manovra rispetto al 2008 e 2009 davanti a un'eventuale recessione, figuriamoci davanti a una crisi.
Se le banche centrali non realizzeranno un solido decollo economico, non riusciranno sicuramente a conquistare lo spazio politico che vorrebbero. Ma anche ipotizzando che riescano a far decollare l'economia, potrebbero non ottenere quello spazio perché la nuova normalità sarà diversa dalla vecchia. Peggio, se i pessimisti avessero ragione, le misure adottate per realizzare il decollo potrebbero aumentare le probabilità di una crisi. Le tecniche della stretta sembrano chiare, quello che non è ancora chiaro è cosa ne sarà delle economie e delle politiche.

(Traduzione di Francesca Novajra)

© The Financial Times Limited 2018

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