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Il ruolo delle Spa tra sostenibilità e innovazione

di Piergaetano Marchetti e Marco Ventoruzzo

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4' di lettura

Si apre oggi a Venezia, alla Fondazione Cini, con quasi 80 relatori e 400 partecipanti, oltre alla diretta streaming, il convegno per i settant’anni della «Rivista delle società», punto di riferimento del dibattito sul diritto commerciale in Italia e in Europa. L’appuntamento, sostenuto da primarie istituzioni, imprese e studi professionali, si ripete ogni dieci anni circa (il primo nel 1966) e chiama a raccolta esperti e operatori per discutere le grandi trasformazioni, attuali e prospettiche, di questo settore centrale dell’economia e della finanza. Molti i fili conduttori che si intrecciano in questa epoca fitta di cambiamenti stimolanti e radicali innovazioni, per ciò stesso confusa. La stessa riflessione scientifica non può sottrarsi al flusso incessante delle informazioni (e a qualche fake news), mentre sullo sfondo, non dimentichiamolo, eventi drammatici – climatici, pandemici, di guerra – agitano lo scenario internazionale e si ripercuotono anche sul nostro settore. Un momento di corale approfondimento è dunque quantomai necessario.

Due temi, in particolare, risuonano nel titolo del Convegno e si rincorrono nelle relazioni: sostenibilità e innovazione tecnologica. Temi che si declinano in modi e ambiti diversi, ponendo interrogativi di ampio respiro. Pensiamo al governo societario; all’evoluzione – e alla frammentazione – delle fonti, tra diritto nazionale, europeo, regole di autodisciplina, giurisprudenza interna e sovranazionale e prassi di vigilanza; alla necessità di rilancio del mercato dei capitali, quanto mai attuale in un periodo in cui le nostre imprese devono crescere e il costo del debito e la scarsa liquidità impongono di agevolare l’investimento in equity (ricordiamo il ddl capitali e la delega al Governo per la riforma del Tuf: è previsto un intervento del Sottosegretario del Mef, Federico Freni). Pensiamo ancora all’oscillazione, insieme antica e modernissima, tra stakeholderism e shareholderism (o, se si preferisce, tra istituzionalismo e contrattualismo) e alla rivoluzione Esg, che ridefiniscono contenuti e confini dell’informazione societaria, dei doveri degli amministratori e dei diritti-doveri di voice dei soci, specialmente istituzionali, oltre alla flessibilità e ai rischi del credito bancario; alle novità nella crisi d’impresa. E ancora: il ruolo dell’intelligenza artificiale, in particolare nella finanza; il rapporto pubblico-privato nell’impresa e sui mercati; la competizione tra ordinamenti (la mente va alle importanti società che hanno trasferito la sede in Olanda, alle frequenti quotazioni di obbligazioni di emittenti italiani all’estero, ecc.), che ha cambiato pelle e che chiama riforme, al cui estremo opposto si pone la sempre crescente, ma non ancora completa, armonizzazione europea e costruzione di un vero mercato unico dei capitali.

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Nella ricca, poliedrica e difficile articolazione del discorso su temi di tale ampiezza e complessità, tre ci paiono le questioni fondamentali – e trasversali – che ispireranno, al vertice, anche i contributi più tecnici e concreti. Questioni che pongono non solo problemi giuridici, ma anche politici, economici, sociali, culturali.

Primo: il ruolo della moderna società per azioni nel modello di capitalismo che vogliamo perseguire e consegnare alle generazioni future. Fondamentale e benefico motore di sviluppo, progresso, ricchezza, ma troppo spesso anche co-imputato di ingiustizie, disuguaglianze, pregiudizi all’ambiente. Intendiamoci, il problema non è nuovo, ma va calato nel contesto attuale. Sempre più – proprio per la sua centralità nella vita di tutti noi – alla s.p.a. è richiesto un ruolo attivo nell’evitare, prevenire, mitigare le esternalità negative che, inevitabilmente, ogni attività umana rischia di causare, soprattutto con riferimento alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti umani. La discussione certamente si presta ad essere condotta in chiave di efficienza, ma senza dimenticare considerazioni di equità distributiva, che saldano la discussione tecnico-giuridica a quella politica. La definizione di un corporate purpose, di uno scopo sociale che bilanci lucro dei soci con interessi di altri attori, è solo il punto più evidente di questa prospettiva.

Secondo: il rapporto tra le fonti del diritto e, all’interno di esse, tra norma imperativa e derogabile, insomma tra libertà e potere autoritativo dello Stato. Le fonti stesse, infatti, si sono arricchite e complicate: la cavalcata sempre più impetuosa del diritto e della giurisprudenza dell’Unione, con le sue vette di modernità e le sue valli di burocratica complessità, ma anche l’impatto dell’esperienza comparata e della dimensione internazionale che sempre più permeano il diritto vivente e la formazione universitaria favorendo circolazione di modelli, regole, istituti, idee. Una frammentazione senza dubbio fruttuosa, ma che pone delicate sfide alla costruzione di un sistema ordinato e alla sua analisi.

Infine, l’innovazione tecnologica. È banale e sbagliato affermare che il diritto si limiti a inseguirla per regolarla. Il rapporto è decisamente più complesso, tanto più ora che intelligenza artificiale, algoritmi, mega-dati e smart contracts possono quasi evolvere in fonti delle regole, oppure sostituire o almeno fondare le scelte discrezionali di amministratori e intermediari. Il diritto può anche stimolare l’innovazione, ma deve innanzitutto governarne i rischi, con forte consapevolezza delle difficoltà di fatto: basti pensare alla repressione degli abusi di mercato nelle cripto-attività.

Cruciale nel pensiero del fondatore della Rivista, Tullio Ascarelli – come ricordato tra gli altri da Sabino Cassese, Mario Libertini e Mario Stella Richter – è la riflessione che il diritto in generale, e quello commerciale in particolare, vantano insieme radici storiche profonde e modernissima capacità evolutiva; che la trasformazione delle regole, degli istituti, dell’interpretazione è favorita, non ostacolata, dalla ricchezza della tradizione e dalla natura, propria del diritto commerciale, di ordine del dinamismo mercantile. Umili a fronte della difficoltà dei problemi, ma sicuri negli strumenti a nostra disposizione e fiduciosi nel potere di uno studio pacato e indipendente, proveremo, insieme ai molti colleghi, se non a trovare le risposte almeno a porci le giuste domande. Nello spirito di quanto scriveva Ascarelli: «Il diritto non è mai un dato ma una continua creazione ed appunto perciò vive nella storia ed anzi con la storia».

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