Il saluto nell’era post Covid: le indicazioni degli “esperti”
Cronaca (semiseria) di una riunione del OMSSM, l’Organizzazione Mondiale dei Saluti e delle Strette di Mano. All’ordine del giorno: prevedere e definire le future interazioni fisiche tra umani
di Giacomo Papi
2' di lettura
Voglio raccontarvi il grande dibattito in corso su come ci si saluterà, dopo. L'Onu ha appena istituito in gran segreto una commissione denominata OMSSM, Organizzazione Mondiale dei Saluti e delle Strette di Mano. A farne parte sono state chiamate alcune eminenti personalità, provenienti da ogni angolo del mondo. Oltre al sottoscritto, indegnamente assoldato, ne fanno parte un famoso antropologo americano, una sociologa bulgara, un igienista cileno, uno psicologo neozelandese di etnia maori, due virologi, uno danese, l'altra omanita, uno studioso di prossemica russo, una danzatrice cinese, un bonzo tibetano e un fisioterapista indiano, due attrici, tedesca e argentina, un attore giapponese del teatro kabuki e un drammaturgo lituano. Il nostro compito è prevedere, ed eventualmente definire, le future interazioni fisiche tra umani.
Per fortuna è stata rinviata a data da destinarsi la discussione sul divieto dei baci. Nel primo incontro abbiamo dibattuto su come stabilire uno standard igienico mondiale dei saluti, per abbattere il rischio di future epidemie. Data l'impossibilità di viaggiare e incontrarsi, le riunioni si sono tenute clandestinamente su Zoom.
La relazione introduttiva è stata affidata all'igienista cileno che, con estrema chiarezza, ha tracciato gli scambi di agenti infettivi attivati dalle modalità di incontro comuni nelle varie culture. Ha descritto le potenzialità di contagio dello strofinarsi di nasi tipici di maori e omaniti, del kunik degli inuit (che consiste nello strofinare naso e labbra sulle guance altrui), del contatto tra gote con simultanea inalazione in voga nell'isola di Tuvalu, dei baci sulla bocca comuni in Russia e in quelli di lato diffusi in Occidente, dell'uso tibetano di mostrarsi vicendevolmente la lingua, degli inchini giapponesi e degli abbracci americani, come dello strofinio mano fronte filippino.
Terminata la rassegna, l'igienista cileno si è avventurato nell'immenso continente rappresentato dalle strette di mano. Con l'aiuto di istogrammi e filmati, ha mappato l'orrido viavai delle particole infettive trasportate dalle nostre dita: la repellente abitudine di stringere mani già transitate dentro narici, gole, orecchie; palmi che hanno parato colpi di tosse e starnuti; unghie che hanno grattato cavità oscure e luridi anfratti.
Al termine dell'incontro eravamo senza parole, e ci scrutavamo con sospetto le mani. È stato il drammaturgo lituano a prendere la parola per primo: «La parola saluto viene da salute», ha detto in lituano, «ed è uno scandalo che l'umanità abbia trasformato questo gesto in un veicolo di contagio». Ha alzato la mano la sociologa bulgara, poi ha cominciato a muoverla a destra e a sinistra e a chiuderla per fare ciao ciao: «Il saluto salutare c'è già», ha urlato, «È questo! E non implica contatto».
A quel punto abbiamo cominciato tutti a salutarci felici dai rispettivi schermi, convinti di avere finalmente trovato la soluzione ai mali del mondo. Soltanto il bonzo tibetano e il fisioterapista indiano hanno preferito salutarsi congiungendo le mani davanti al petto per rimarcare la salubrità del namasté. A fine riunione sorridevamo, ma sotto sotto spirava una certa malinconia. Ognuno pensava tra sé che nel mondo di prima la purezza aveva sempre assomigliato alla morte e la contaminazione alla vita.
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