Il servizio funzionerà? Molto dipende dal design
di Alessia Maccaferri
3' di lettura
Sui marciapiedi delle megalopoli cinesi le bici condivise ostruiscono il passaggio, in Europa si moltiplicano furti e vandalismi mentre gli utenti del bike sharing si lamentano per la disponibilità a macchia di leopardo dei mezzi, con quartieri lasciati scoperti. Il servizio, nato sotto i migliori auspici dell’economia collaborativa, mostra oggi diversi limiti. Molti dipendono da come il servizio è stato progettato. A modo suo, tenta una via diversa la bicicletta ibrida Bitride con un tracciamento antivandalismo e un antifurto sonoro e un sistema di gamification per incentivare gli utenti che riportano le bici in parcheggi virtuali.
Tutto il servizio di bike sharing a flusso libero è stato ridisegnato da Zehus, con un progetto di ricerca di Horizon 2020. «Stiamo sperimentando il servizio con un’audience formata del Politecnico di Milano– spiega Marcello Segato, ceo di Zehus nata come spinoff della stessa università - Poi dopo luglio estenderemo a 350 biciclette in tutta la città». Dopodiché la soluzione sarà pronta per un eventuale sviluppo commerciale.
Zehus è una delle tante realtà che collabora col dipartimento di Design del Politecnico di Milano, che come Sistema Design ha organizzato nei giorni scorsi la conferenza internazionale ServDes.2018, richiamando ricercatori, professionisti e imprese del design dei servizi da ogni parte del mondo. La progettazione dell’interfaccia tra chi eroga il servizio stesso e l’utente/consumatore è strategica per decretare il successo (o l’insuccesso) di un servizio, che sia un’esperienza di acquisto, un processo aziendale o la partecipazione a un servizio collettivo. E non può che non essere così, se l’economia dei servizi rappresenta ormai più del 70% della produzione e dell’occupazione nei paesi Ocse.
Non a caso si sono mosse, tra le prime, le società di consulenza che hanno presto incorporato il design dei servizi. Accenture ha acquisito già nel 2013 Fjord mentre Deloitte punta su risorse interne. «Il design dei servizi permette di riconfigurare l’interazione tra il brand e il consumatore, dove nella trasformazione digitale la fornitura del servizio è centrale rispetto al prodotto – spiega Alessandro Piana Bianco, experience design director di Deloitte Digital Italy – La customer experience è fondamentale: le aziende che si rivolgono a noi hanno difficoltà a relazionarsi, soprattutto sul lungo termine, con un consumatore evoluto, informato, che conosce bene il web e richiede un livello alto di personalizzazione del servizio». Deloitte Digital in Italia ha scelto di creare unità interne di service design, affidandole a sei persone, e di lavorare sia all’interno con altri settori aziendali sia con il mondo accademico per continuare ad apprendere competenze di progettazione.
Il design dei servizi aiuta anche le comunità. A Milano la Fondazione Housing Sociale – nata su iniziativa di Fondazione Cariplo - ha messo a punto Startup Community, un percorso abilitante per i 20mila alloggi che saranno costruiti entro l’anno prossimo in tutta Italia, grazie al Fondo Italiano per l’abitare, di Cassa Deposito e prestiti che ammonta a 2,2 miliardi di euro. Da un anno prima del trasloco i condomini si incontrano per coprogettare i servizi e le modalità di gestione degli spazi comuni (lavanderia, verde, sala giochi ecc) e servizi (baby-sitter condominiale, attività ludiche ecc). Un percorso che porta poi a creare una comunità capace di vivere assieme e sostenuta da strumenti digitali come una piattaforma e un’app che permettono di sbrigare gli aspetti logistico formativi. «Di fatto il design dei servizi diventa uno strumento attraverso cui le singole comunità disegnano i luoghi fisici e virtuali, e progettano il modo in cui gestire le funzioni/attività che, in quei luoghi, le persone decidono svolgere» spiega Giordana Ferri, alla guida della fondazione milanese.
Nell’industria 4.0 il design dei servizi è spesso utilizzato per facilitare l’organizzazione e i processi, migliorando anche il lavoro degli addetti. Come racconta la storia di Weasy, all’interno di Saint-Gobain Business Glass Europe, che si occupa della trasformazione del vetro (circa due miliardi di euro di fatturato e 15mila addetti). «Il problema era integrare e rendere più fluidi i processi dall’arrivo dell’ordine alla fatturazione» spiega Giuseppe Attoma Pepe che ha fondato 20 anni fa la società di consulenza nel service design e user experience Attoma, una trentina tra esperti di scienze sociali e designer.
Con Weasy ha coinvolto gli utenti, gli stakeholder e il team tecnico, in una ricerca su quattro paesi (Francia, Germania, Olanda, Danimarca), con 137 interviste e workshop per giungere a un prototipo, una sorta di «artefatto intermedio» che consente di simulare i diversi flussi, dando indicazioni preziose a Capgemini che svilupperà tutta l’integrazione dei software.
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