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Il settore food è la regina degli scacchi del retail

Su 300 miliardi annui spesi in cibo oltre un terzo sono destinati alla ristorazione fuori casa, fenomeno in salita. Nell’analisi di Engel & Volkers i numeri e i trend

di Evelina Marchesini

(ANSA)

4' di lettura

È la ristorazione la regina degli scacchi del settore retail. Se i centri commerciali lottano contro un cambiamento delle abitudini dei consumi, se il fashion e le vie della moda fanno i conti con trend anche più drastici e i piccoli negozi di quartiere sono legati a variabili complesse, sono i ristoranti, i bar e soprattutto i nuovi format del food and drink a guidare la ripresa post-Covid e a tracciare la strada della redditività.

Il concetto è emerso molto chiaramente nella seconda giornata di lavori del Mapic Italy di Milano, ma Il Sole 24 Ore ha avuto un dialogo in esclusiva con Engel & Volkers Commercial per tradurre in cifre e trend dettagliati un fenomeno destinato a cambiare gli equilibri del settore immobiliare retail. «Il settore del food retail sta decisamente ripartendo dopo il colpo della pandemia – ci spiega Andrea Ponti, head of retail services di Engel & Volkers Commercial Milano – ed è il comparto che sta trainando tutto il settore retail».

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Il mercato

Ormai su circa 300 miliardi che spendiamo annualmente come italiani per il cibo in senso lato, dalla spesa consumata in casa fino alla cena al ristorante, oltre 100 sono dedicati alla ristorazione fuori casa. «Quindi è un trend che sta crescendo – continua – e gli operatori diventano sempre più specializzati su una specifica categoria di prodotto o di servizio. Mi auguro, visto il buon andamento della ristorazione, che gli italiani si sappiano valorizzare ulteriormente all'estero ma anche che iniziamo a saper accogliere nuovi format provenienti da oltrefrontiera», dice Ponti.

I canoni

A Milano ci sono fasce di canoni che vanno dai 200 agli oltre 1500 euro al mq, differenza data principalmente dal tipo di operatore e dalla location. Il centro di Milano è il top, quindi intorno ai 1.500 euro al mq, e la redditività dal punto di vista immobiliare va dal 3,5 al 4,5% e si tratta di aree prevalentemente presidiate da operatori internazionali, anche in nuova entrata, intenzionati a lavorare molto sul marchio e sulle novità in termini di prodotto e filosofia.

Allontanandosi via via dal centro si va dai 200 agli 800 euro al mq e si tratta di operatori locali, non ristrutturati e non sotto forma di catene.

Il report Food & The City anticipato a grandi linee al Mapic Italy riporta anche i canoni medi suddivisi per zona, da cui emerge che la location più cara a Milano è quella di Cordusio-Dante con 1.500 euro al mq all'anno, a cui segue il Duomo con 1.300 euro e, a sorpresa, Marghera-Wagner con 1.100 (sono i valori massimi). Sui Navigli si va dai 600 ai 900 euro, a Citylife da 650 agli 850 euro, a Porta Nuova-Varesine dai 700 ai 900, in Porta Romana dai 450 ai 650, in Brera da 800 a 1000 euro.

In salita e in discesa

Non basta essere in pieno centro storico per stare al top. «Piazza Diaz e la zona di via Larga è considerata un po' la Cenerentola del centro – dice Ponti – così come Porta Romana viene considerata in questo momento la prima della classe per via delle riqualificazioni in fase di avvio, anche se fuori dalla prima cerchia del centro». Porta Romana è dove si sta vedendo la crescita maggiore, anche in termini di quotazioni.

Per Engel & Volkers la quotazione era intorno ai 3-4mila euro al mq, adesso è salita fino a 6-7mila euro, fenomeno trainato dalle varie riqualificazioni in fase di partenza. «Prevediamo un'espansione del fenomeno, che terrà conto del Villaggio Olimpico», dice Ponti. Poi c'è la zona di Milano Santa Giulia, dove gli edifici a uso uffici sono stati già realizzati e dove sta iniziando il vero e proprio progetto Santa Giulia, fino alla realizzazione dell'Arena dei Giochi Olimpici, vero fil rouge dell'attrattività prospettica nel settore dell'immobiliare-food.

«Infatti una delle deadline è proprio il 2026, così come si era puntato, a ragione, sull'Expo», dice Ponti. E a passo di gambero?

«Sicuramente le zone con una vocazione più serale – dice Ponti – come i Navigli, per fare un esempio. Ma speriamo che sia una situazione momentanea». E i centri città? Hanno davvero sofferto del vuoto-Covid? «Sicuramente sì, hanno sofferto – continua Ponti – a Milano abbiamo calcolato che sia mancata una media di circa 5 milioni di euro al giorno al settore della ristorazione. Ma questo non si è poi ripercosso sui canoni, un po' perché il delivery ha permesso di restare a galla, un po' perché i proprietari dei muri sono andati incontro ai locatari e i contratti sono di lungo periodo. Ora si nota una ripresa, anche decisa, ma sicuramente è sparita una componente fondamentale: la cosiddetta “buona entrata”».

Fino a due anni fa per un'attività di ristorazione in una posizione media, di 100 o 150 mq, lo standard era una buona entrata di 100-200mila euro, per arrivare anche a 700mila euro. Questo, dice Ponti, non succede più, a meno che non ci siano motivazioni tecniche tangibili.

Cosa ci aspetta domani? Secondo il report, si va verso format funzionali e digitalizzati, con un connubio tra online e offline. Verso una verticalizzazione dell'offerta, un'accurata targhettizzazione della location e una trasversalità dell'utenza. Poi una capillarità della presenza territoriale funzionale alla copertura delivery e l'irrinunciabilità per i grandi brand di flagship store centrali. La qualità è in salita, con un generale innalzamento dell'offerta e della cosiddetta customer experience. Insomma, tutto un mondo nuovo in arrivo nel settore chiave dell'Italia, il cibo.

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