Il settore idrico volta pagina: in arrivo 10 miliardi di investimenti
di Giorgio Santilli
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Nel 2012 il settore idrico integrato (acquedotto, depurazione, fognatura) ha investito in infrastrutture 961 milioni, saliti a 1 miliardo e 490 milioni nel 2015. Per il quadriennio 2016-2019 è programmata una spesa per investimenti di 7,8 miliardi finanziati con la tariffa idrica cui si aggiungono 2,2 miliardi derivanti da fondi pubblici. In tutto dieci miliardi che significa 2,5 miliardi l’anno. E 2,5 miliardi sono programmati per il 2017: 1.933 milioni coperti dalla tariffa e 567 da fondi pubblici.
Questa crescita degli investimenti è il primo dato rilevante nel valutare gli effetti della regolazione tecnica nei servizi idrici affidata dal 2012 all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e i servizi idrici (Aeegsi). Proprio l’Autorità ha pubblicato in questi giorni sul proprio sito la Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta fino al 31 marzo 2017. Una sintesi era stata fatta in settimana al seminario Anea dal responsabile della Direzione sistemi idrici dell’Autorità, Lorenzo Bardelli. «In questi anni - ha detto - è stata fatta un’attività regolatoria significativa, costruendo un telaio di regole su molti aspetti».
Un altro dato per capire dove va un settore che aveva avuto nel 2011 una cesura con il voto al referendum «per l’acqua pubblica» è quello della diffusione del nuovo sistema tariffario imposto dalla regolazione dell’Autorità. Una regolazione silenziosa, lontana dalle polemiche politiche di inizio decennio. Recentemente il Consiglio di Stato, con la decisione 2481/2017, ha giudicato conforme agli esiti del referendum il metodo tariffario idrico approvato dall’Autorità: è una decisione storica che spazza via il rischio di ritorno indietro e dà sostanziale stabilità alla regolazione dell’Autorità. Possibile che ora acceleri la diffusione della nuova tariffa sul territorio, superando resistenze forti soprattutto nel Centro-Sud. Le tariffe sono infatti state aggiornate con il nuovo metodo per il 97% nel Nord-Est, per l’87,4% nel Nord-Ovest, per il 58% al Centro e solo per il 23% al Sud, dove continuano a dominare le vecchie gestioni pubbliche dirette dei Comuni.
La ripresa degli investimenti è collegata all’avvio del nuovo sistema regolatorio che ha rilanciato la missione contenuta già nella legge Galli del 1994 di trasformare le gestioni idriche in gestioni industriali, poco importa se a carattere pubblico, privato (in concessione) o in forma di spa miste. Dal 2012 al 2015 nel Nord-Ovest gli investimenti programmati sono passati 180 milioni a 420; nel Nord-Est da 250 milioni a 410; al centro da 320 a 410, nel Sud sono scesi da 140 a 130; nelle isole siamo partiti quasi da zero e siamo rimasti sotto i 40 milioni. Il tasso di realizzazione degli investimenti programmati con il nuovo sistema - con riferimento ai costi delle immobilizzazioni computati in tariffa - è stato pari all’81,5% nel 2014 e al 78,2% nel 2015.
La relazione dell’Autorità individua anche le dieci cause principali di intervento sulle infrastrutture che assorbono il 67% delle risorse complessivamente destinate agli investimenti pianificati. Contrariamente a quanto racconta la vulgata sull’acqua in Italia, che l’emergenza numero 1 sia data dalle perdite idriche, questa causa di intervento si ritrova soltanto all’ottavo posto, con un intervento dell’ordine dei 200 milioni. La principale causa di intervento, per un valore che supera il miliardo, è la inadeguatezza degli impianti di depurazione: tipologia che ha anche l’obiettivo di correre ai ripari spesso rispetto alle numerose multe Ue. Intorno al miliardo anche l’intervento per ovviare alla mancanza parziale o totale delle reti fognarie. Poco sopra i 900 milioni la terza causa di investimenti: insufficienza o assenza di trattamenti depurativi. La distribuzione, cioè gli acquedotti, interviene solo alla quarta voce con spesa inferiore a 700 milioni.
L’obiettivo principale del sistema regolatorio dell’Aeegsi è definire criteri tariffari stabili, orientati a premiare una maggiore efficienza gestionale e la realizzazione effettiva degli investimenti. Qui c’è un passaggio cruciale del nuovo sistema: una quota dell’aumento tariffario maggiormente legata alla spesa per investimenti scatta solo se la spesa è stata effettivamente realizzata e contabilizzata e non - come era con il precedente sistema - sulla base di piani di investimento. Questa è anche la ragione vera dell’impennata degli investimenti, oltre al fatto che la stabilizzazione del quadro normativo e regolatorio ha ricreato un afflusso di finanziamenti che si era interrotto nei primi anni del decennio. Ora l’Autorità sta introducendo anche sistemi di controllo ex post per la qualità del servizio e ha in programma di introdurre un sistema di costi standard che dovrebbe far fare alle gestioni un salto di efficientamento gestionale che ancora è molto a macchia di leopardo.
Vediamo gli aumenti tariffari prodotti dal sistema. Nel 2016 l’aumento medio accordato a 109 gestioni, che servono i 35,5 milioni di abitanti sottoposti alla regolazione, è stato del 4,6%, mentre è destinato a scendere: 3,6% nel 2017, 2,4% nel 2018, 1,2% nel 2019.
Se la regolazione ha imposto un cammino virtuoso nel rapporto tariffa-investimenti in una quota consistente di gestioni, non mancano ancora aspetti critici nel sistema dei servizi idrici integrati. Il primo, come detto, riguarda l’estensione della regolazione all’intero territorio nazionale. Il secondo aspetto che va certamente migliorato è quello della quota di ricavi tariffari destinati alle spese in conto capitale: nel 2014 il 74% dei ricavi se ne va a coprire i costi operativi, mentre solo il 24% va agli investimenti. Questo rapporto non è sostanzialmente cambiato. Se si aggiungono i fondi pubblici si arriva al 26%. L’obiettivo dell’Autorità, anche con una stretta e un efficientamento delle gestioni operative, è di arrivare al 32% nel 2019.
Qui arriva un altro tema cruciale per far fare un salto: è quello dei costi standard la cui applicazione comporta però una serie di difficoltà che nascono proprio dalla forte eterogeneità territoriale delle gestioni al momento dell’avvio della nuova regolazione. Per capire che il tema non è solo quello della contrapposizione fra Nord e Sud, è sufficiente vedere i dati sui costi unitari minimi e massimi del servizio per area geografica. Nel Nord-Ovest si passa da un minimo di 0,82 euro per metro cubo di acqua a un massimo di 2,97 euro con una media di 1,58. Nel Nord-Est si passa da 1,22 a 2,80 con una media di 2,10. Nel Centro da 1,46 a 2,97 con una media di 1,96. Al Sud da 1,44 a 2,15 con una media di 2,05. Questi dati dimostrano che, anche a stretto contatto territoriale, possono esserci gestioni più o meno efficienti.
Un ultimo elemento che vale la pena di notare sugli effetti prodotti dal nuovo sistema regolatorio è quello della frammentazione delle gestioni, vecchio enorme problema del settore. I segnali di miglioramento sono notevoli sul fronte delle amministrazioni pubbliche responsabili del servizio idrico integrato, gli Ato. Si è passati dai 70 del 2014 a 64 e la razionalizzazione è dovuta soprattutto all’affermarsi del modello dell’ambito territoriale ottimale unico regionale che, partito dalla Toscana, si è affermato in 12 Regioni. Più complessa la situazione sul fronte dei gestori del servizio: le gestioni idriche erano 2.600 nel 2014, nel 2017 ne sono state censite 2.100. Va detto però - a conferma della bontà della riforma - che 1.300 di queste gestioni riguardano i 10 ambiti territoriali ottimali in cui la normativa vigente non è mai stata applicata.
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