Il sistema bancario è più solido di 10 anni fa, anche se manca qualcosa
La nascita di un soggetto con vocazione europea passa dall’aggregazione di generali e unicredit
di Ignazio Angeloni
4' di lettura
Qual è lo stato di salute del nostro sistema bancario? Da un po’ di tempo questa domanda ha cessato di essere di attualità nei dibattiti pubblici e politici. Altri e più urgenti temi incombono: pandemia e guerra anzitutto, questioni che peraltro hanno qualcosa a che vedere con le banche. E poi, naturalmente, i bisticci quotidiani dei partiti.
Eppure ci sarebbero almeno tre ragioni per tornare a riflettere sul sistema del credito. La prima è simbolica: fra poche settimane ricorre il decimo anniversario del fatidico 29 giugno 2012, giorno in cui l’Europa decise di avviare l’unione bancaria. Le dichiarazioni unanimi del tempo non lasciano dubbi su quali ne fossero gli obiettivi: stabilizzare le banche, ricapitalizzandole, pulendo i bilanci e facilitando l’uscita dal mercato di quelle meno efficienti. Il tutto cominciando dai sistemi deboli, fra cui certamente il nostro. Il decennale sollecita domande: quanti progressi sono stati fatti? Cosa resta da fare?
La seconda ragione è più concreta. Il ciclo economico sta cambiando, salgono tassi e spread e l’economia rallenta. Le banche, sovraccariche di titoli di Stato, sono vulnerabili a questi sviluppi. È preparato il nostro sistema?
Vi è poi una terza ragione, meno contingente. Nonostante alcuni punti di forza, il nostro sistema rimane strutturalmente sottodimensionato e non sufficientemente forte per competere con successo e sostenere la crescita italiana nel più ampio scenario europeo e globale. Una tara antica con varie ricadute, per misurare la quale bastano due numeri: le prime due banche italiane stanno al settimo e al nono posto nella classifica dell’Unione europea per dimensione del bilancio. Dietro di esse c’è il vuoto. Questo non basta per quella che è, e speriamo rimanga, la terza economia dell’Unione.
Il decennio trascorso ha portato a un rafforzamento del sistema italiano nel suo insieme. Capitalizzazione, liquidità e qualità dei bilanci sono migliorate negli anni seguiti alla crisi finanziaria. A mano a mano che quel tempo si allontana, tuttavia, il bicchiere mezzo pieno che non si è riempito sembra sempre più mezzo vuoto. Banche individuate come problematiche dieci anni fa sono ancora lì, con i loro problemi. La ricapitalizzazione si è arrestata qualche anno fa. I crediti deteriorati, pur a livelli più rassicuranti,
sono più alti della media europea così come erano negli anni precedenti alle grandi crisi. Un quadro che, visto nel suo complesso, connota un risanamento ben avviato
ma non portato a compimento.
Guardando al sistema nelle sue grandi linee, a me sembra che il settore del credito per un Paese come l’Italia debba contenere tre elementi.
1 Al livello più basso, dimensionalmente parlando, vi è la galassia delle realtà bancarie locali, agricole e non, adatte a sostenere la microeconomia sul territorio. Come confronto viene in mente Crédit Agricole, con le sue migliaia di filiali che presidiano anche le zone più remote della Francia. Su quella base, il colosso “verde” francese ha costruito la sua forza e presenza anche oltrefrontiera (compresi i passi felpati che ora compie nel mercato italiano), Strutture di questo tipo si reggono se, oltre a controllare bene redditività e costi, vengono mutualizzate alcune funzioni e servizi. L’Italia ha fatto un primo passo in questa direzione con la riforma del credito cooperativo. Una strategia da proseguire, tenendo bene in vista, ora che la vigilanza di gruppo è passata alla Banca centrale europea, anche l’economicità
delle piccole realtà locali.
2 Un altro elemento di cui il sistema necessita è una o più (ma poche) banche di grande dimensione capaci di offrire alla ricca e diversificata clientela domestica l’intera gamma di prodotti finanziari di cui necessita. Banca Intesa soddisfa bene questa esigenza, sia per vocazione sia per il percorso di rafforzamento realizzato in questi anni, che speriamo non si interrompa. Dietro di essa si intravedono alcune (poche) realtà più piccole, sulla stessa scia.
3 L’elemento che invece manca totalmente è un soggetto con vocazione e dimensione europee. Date le caratteristiche del mercato continentale oggi, questo soggetto non può che essere una banca universale a largo raggio, con una presenza forte in tutti i comparti rilevanti: dall’intermediazione classica all’assicurazione, dai pagamenti alla gestione del risparmio, dalla consulenza alla finanza d’impresa. Dimensione e linee operative diversificate danno garanzia di stabilità reddituale e vantaggi di scala.
Come si può arrivare in Italia a una realtà del genere? Il solito marziano paracadutato sulla terra, trovandosi per caso in Italia, non avrebbe dubbi: essa può ottenersi solo combinando la più grande banca italiana con tradizione e vocazione europee e il più grande gruppo assicurativo del Paese, anch’esso con ricca storia e presenza oltrefrontiera. Un polo che potrebbe poi dotarsi, per linea interna o esterna, di altre componenenti di cui ci fosse bisogno.
L’idea di un’aggregazione fra UniCredit e Generali non è nuova: se ne era già parlato qualche tempo fa prima che vicende diverse dei rispettivi interessati spostassero l’attenzione. Sarebbe un progetto di grande ambizione e non facile, per la dimensione industriale e poiché coinvolgerebbe persone (azionisti, manager) che hanno mostrato di avere visioni e ambizioni diverse. I potenziali vantaggi per il Paese però sono innegabili. Il sistema Italia raggiungerebbe tre obiettivi: segnalare unità di intenti fra soggetti privati in un settore strategico e in rapida evoluzione ; essere pronto per la stagione ventura e forse prossima di aggregazioni bancarie europee; fornire un punto di riferimento solido per le imprese italiane che operano all’estero. Vale la pena pensarci.
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