Il Sud rinascerà con uno sviluppo sinergico
di Andrea Boitani
3' di lettura
La Scuola Superiore a Napoli si farà probabilmente, ma certo non si chiamerà “Normale”. Il brand prestigioso rimane esclusivamente pisano e il sindaco Michele Conti esulta. Altrettanto fanno gli studenti e una parte dei docenti della Normale. I motivi sembrano diversi: il sindaco difende la “pisanità” della Normale, studenti e professori gioiscono perché l’integrità della Scuola, che ritenevano minacciata dalla nuova sede napoletana, viene mantenuta.
La Normale è forse la più famosa (ci hanno studiato Giosuè Carducci, Giovanni Gentile, Enrico Fermi, Carlo Azeglio Ciampi, Carlo Rubbia, Luciano Canfora...) ma non è l’unica Scuola Superiore o di alta formazione in Italia. A Pisa c’è anche la Scuola Sant’Anna, dove si possono studiare molte delle materie che la Normale non copre. Altre “scuole di eccellenza” sono presenti a Pavia, Udine, Padova, Siena, ma anche al Sud, a Catania e Lecce. Dunque, si potrebbe dire: poco male. Napoli avrà la sua Scuola Superiore, anche se non potrà chiamarsi “Normale”. I finanziamenti dovrebbero essere confermati nella Legge di bilancio.
Non sono però sicuro del “poco male”. Non voglio certo entrare nella discussione sulla scarsa collegialità/democraticità della scelta che alcuni colleghi docenti e gli studenti imputavano al direttore della Normale Vincenzo Barone. Resta il fatto che quello della “Normale” non è solo un brand. È una garanzia di metodo e qualità della ricerca e dell’insegnamento, che una Scuola del tutto nuova deve costruire dalle fondamenta. Quella garanzia ci sarebbe stata perché la Normale, aprendo una sede a Napoli, avrebbe chiesto (e presumibilmente incentivato) alcuni suoi docenti a trasferirsi in Campania per far rivivere là il suo metodo e la sua qualità, accelerando un processo che, con la soluzione che si profila, potrebbe richiedere anni. E il tempo è prezioso quando si tratta di compiere azioni importanti per lo sviluppo culturale e quindi economico del Mezzogiorno.
Penso infatti che far crescere una formazione di alto livello al Sud sia uno dei pilastri di qualsiasi strategia per la rinascita del Mezzogiorno. Rinascita che passa non solo per il potenziamento del capitale umano meridionale ma anche perché tale potenziamento sia fatto “in loco”, non cioè attraverso la continua migrazione di giovani cervelli dal Sud verso le istituzioni universitarie d’eccellenza del Centro-Nord. I giovani che studiano a Milano, Torino o Venezia in minima parte ritornano al Sud, con conseguente brain drain dalle regioni meridionali, le cui potenzialità di sviluppo verranno ulteriormente ridotte.
Naturalmente, 1) alta formazione al Mezzogiorno non significa rinchiudere i ragazzi e le ragazze meridionali in una gabbia formativa territoriale: massima mobilità universitaria dovrebbe essere garantita mediante programmi di scambio con università estere e/o del Centro-Nord Italia e 2) una rondine non fa primavera: anche gli studenti che avessero possibilità di studiare in Scuole di eccellenza nel Mezzogiorno finirebbero per migrare quando non dovessero trovare opportunità di lavoro adeguate alle qualificazioni acquisite. Quindi la politica della formazione dovrebbe andare in parallelo a una ben disegnata politica industriale di attrazione degli investimenti innovativi al Sud, a un’azione di riqualificazione della pubblica amministrazione meridionale e alla crescita delle comunità territoriali. Si dovrebbero cioè ricercare tutte le sinergie possibili, senza illusione che si mettano in moto inesistenti automatismi.
Francamente, dubito che il mancato approdo della Normale a Napoli debba essere salutato con soddisfazione da parte di chi è tenacemente impegnato a trovare le vie per colmare il divario tra Sud e Nord del Paese che si è riaperto con la crisi e la successiva fine dell’intervento straordinario quasi trent’anni fa. E credo che le grandi università private del Nord e del Centro, dotate di maggiore libertà di movimento rispetto alle pubbliche, dovrebbero saper cogliere le opportunità lasciate dal ritiro della Normale nelle mura di Pisa.
Dipartimento di Economia e Finanza, Università Cattolica di Milano
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