Il Sud visto da un convinto “Southerner”: Joe R. Lansdale
Prosegue con questa riflessione dello scrittore texano la nostra serie per provare a capire gli Usa in vista delle presidenziali. Qui, l’autore che in Italia ha un folto seguito di lettori, ci descrive l’identità di un territorio chiave per comprendere le dinamiche elettorali
di Enza A. Moscaritolo
3' di lettura
«Sono dannatamente sicuro di non provare alcun sentimento per la vecchia Confederazione, né per nessuna di queste sciocchezze, al di fuori di quello che può essere un mero interesse storico. Ne ho scritto, certo, ma sono cose che non appartengono né a me, né alla maggior parte delle persone che vivono qui dove sto io (a Nacogdoches, una cittadina del Texas orientale, ndr). Ma ci sono sentimenti oscuri che rimangono, cose che i Southerners fanno fatica a scrollarsi di dosso, anche se sono per lo più soltanto persone comuni che provano a fare del loro meglio. Amo la gente e odio molte di quelle vecchie mentalità che si sono aggrappate al Sud come il muschio.
In generale, posso dire che amo questo posto, così come amo gli Stati Uniti, nonostante l'idiota che ne è attualmente il presidente. Noi americani andiamo sempre avanti, e crediamo che il domani sarà un giorno più luminoso. Io stesso sono un prodotto del sogno americano, che è un'opportunità, non una promessa. Oggi, però, a molti – nella nostra società – questa opportunità non viene offerta.
Questa è l'occasione che voglio, pare che stia arrivando lentamente, ora sembra che stia accelerando... Ma attenzione, l'ottimismo può essere una creatura fuorviante, quindi cerco di essere più che altro un realista pieno di speranza. Potrei, nel mio giorno migliore, definirmi “un ottimista ferito”.
Per essere autenticamente Southerner bisogna nascere qui o trascorrervi la maggior parte della vita. Il Texas orientale è un mondo a sé stante – niente deserti, niente montagne, solo alberi e laghi e fiumi e fondali paludosi – ma potresti dover strizzare gli occhi per vederlo bene. È come uno spettro che si muove solo agli angoli dei tuoi occhi.
E, certo, essere del Sud ha influenzato in qualche modo il mio stile di scrittura, perché è quello che sono. Ho mantenuto il linguaggio semplice della regione, così come la gentilezza e la vicinanza che la permeano, ma ho rifiutato il razzismo e le tendenze anti-scientifiche. Che ovviamente non sono di tutti, ma sono di troppi. Se i libri possono migliorare il mondo? Certo, penso proprio di sì, molti lettori, per esempio, mi hanno detto di aver cambiato idea riguardo ai gay e ai neri, leggendo i miei lavori.
Dunque, ne è valsa la pena, al di là del fattore intrattenimento. Credo, infatti, che sia arrivato il momento di accogliere la diversità, e che la diversità non debba essere motivo di separazione. E sono assolutamente a favore dell'appropriazione culturale: del resto, perché non farlo? È ciò
che avviene già ogni giorno con quello che mangiamo, con la musica che ascoltiamo o con i libri che leggiamo. Penso che ciascuna cultura possa mantenere la propria identità, diventando parte di un'identità più ampia. Ma suggerirei al presidente Donald Trump di non prendere assolutamente nulla dal “Southern style”, perché lui già alimenta gli aspetti negativi della cultura meridionale, come il razzismo, la visione ristretta o la sensazione che ci venga portato via qualcosa o la convinzione che tutte le soluzioni siano semplici.
Non è stato solo il Sud a metterlo in carica, ma sicuramente ha dato un importante contributo. E potrebbe accadere di nuovo, ma io spero in una vittoria di Biden-Harris: abbiamo bisogno di resettare tutto. Trump non ha vinto grazie al voto popolare, ma con il voto dei Grandi Elettori. E potrebbe succedere ancora. L'ultima volta pensavo che avrebbe vinto Trump e lo temevo. Ed è successo. Ora penso che Joe Biden abbia, di gran lunga, più chance di Hillary Clinton, ma queste cose possono prendere una piega diversa rapidamente. Ed è questa la mia paura, perché non possiamo fare bene con Trump ancora al comando. È un pericolo per la democrazia».
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