il reportage

Il Sudafrica sprofonda e Zuma appoggia l’ex moglie per salvarsi

di Ugo Tramballi

(Reuters)

5' di lettura

Sono almeno 600 milioni gli africani che non hanno alcun collegamento con una rete elettrica. L’anno scorso nella parte sub-sahariana del continente sono state consumate 26 miliardi di candele; nella Nigeria produttrice di greggio ogni anno si spendono 20 miliardi di dollari per comprare generatori elettrici e alimentarli con la benzina. Ovunque l’accesso all’acqua potabile è ugualmente problematico. E Paesi come lo Zimbabwe (che un tempo era un esportatore e oggi importa il 70% di ciò che gli serve) e il Kenya (una potenza continentale), non sopravvivrebbero senza le rimesse dei loro emigrati.

È possibile che anche il Sudafrica stia per diventare un altro fallimento continentale? «La situazione nella quale Jacob Zuma e i suoi sostenitori hanno fatto sprofondare il Paese, sommata alla costante distruzione di valore e dei valori, è ciò che milioni di africani hanno già visto» nel resto del continente, scrive Business Day, il primo quotidiano economico sudafricano.

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Il dopo Zuma
In nove anni di potere – l’anno prossimo scade il suo secondo e ultimo mandato presidenziale – Zuma governa un Paese e un partito, l’African national congress di Nelson Mandela, entrambi profondamente divisi; ha accumulato una preoccupante stagnazione economica, una disoccupazione al 27,7% che al 60% è giovanile, e 783 denunce penali: corruzione, frode, riciclaggio, racket, truffa, estorsione. A ottobre la Suprema Corte d’appello ha stabilito che è legittimo procedere contro il presidente. La sua ultima possibilità di salvarsi è far eleggere Nkosazana Dlamini-Zuma, l’ex moglie, alla presidenza dell’Anc, durante la conferenza nazionale che inizia oggi. Chi è eletto leader del partito è anche il suo candidato alle Presidenziali dell’anno prossimo.

Se Dlamini-Zuma diventa presidente, l’ex marito sarà protetto e l’Anc continuerà nella sua drammatica trasformazione da partito della “nazione arcobaleno” a centro di potere e corruzione. Più o meno il progetto che nello Zimbabwe aveva in mente Robert Mugabe, facendosi sostituire dalla moglie. Politica e affetti privati sono una caratteristica di Zuma: le linee aeree nazionali che hanno ricevuto altri 188 milioni di euro dal governo per non fallire, sono guidate da una ex fidanzata del presidente. Intanto il Sudafrica lentamente sprofonda. Come spiega Zvelinzima Vavi, il leader dello Saftu, il nuovo sindacato nato da una costola dello storico Cosatu colpevole di non servire gli interessi dei lavoratori ma quelli di Zuma, «l’esplosione della corruzione, del saccheggio, dell’appropriazione delle istituzioni statali compiuto da capi di imprese pubbliche e politici imbroglioni, sta peggiorando la crisi economica» che paralizza il Sudafrica.

Johannesbourg, migliaia al congresso per eleggere l'erede di Zuma

Ventitré anni dopo la fine dell’apartheid, dice Bonang Mohale a capo di Business Leadership, l’associazione delle più grandi corporation sudafricane, «la fiducia del business e dei consumatori è scesa ai più bassi livelli della nostra vita democratica». Ancor più drammatico è che 30 milioni di sudafricani sui 55 dell’ultimo censimento, vivano con 62 euro al mese; e di questi, 13,8 milioni con poco più di 27. Quando Pahli Lehohla, lo Statician-General, ha pubblicato questi dati, è stato come scoprire un fallimento nazionale che si sospettava ma non in queste dimensioni. Una generazione dopo il miracolo politico compiuto da Nelson Mandela, solo il 3% dell’economia è controllata dai neri, l’80% della popolazione. Nere sono il 23% delle imprese quotate in Borsa, il 21% dei membri dei consigli d’amministrazione delle prime 40 compagnie, il 10% dei ceo. Il Bee, il Black economic empowerment, è stato il mantra di tutte le amministrazioni del Paese: declinato con formule e programmi diversi di crescita, ha sempre funzionato poco.

Una generazione dopo le prime elezioni democratiche, è sempre meno irrispettoso chiedersi fino a che punto la colpa sia della pesante eredità sociale ed economica lasciata dalla segregazione razziale, o delle politiche di chi ha governato nell’ultimo ventennio. La disoccupazione supera il 20% dall’inizio degli anni 90. Ma era così anche prima della grade crisi finanziaria globale, quando la crescita era del 5,2%. Perché per la natura dell’economia sudafricana che richiede una forza lavoro a medio-alta specializzazione, l’offerta era e rimane inadeguata.

Le assunzioni per quote che progressivamente l’Anc ha trasformato in uno strumento di nepotismo hanno creato una élite fedele e corrotta

Si è investito in un black empowerment più ideologico che pratico: le assunzioni per quote che progressivamente l’Anc ha trasformato in uno strumento di nepotismo, hanno creato una élite fedele e corrotta, piuttosto che un reale e vasto trasferimento razziale del potere economico. È stato invece ignorato ciò che a lungo termine sarebbe servito di più: l’istruzione. Le piccole e medie imprese che in Estremo Oriente assorbivano l’80% della forza lavoro e hanno contribuito alla fenomenale crescita di quei Paesi, in Sudafrica avrebbero potuto essere un serbatoio decisivo. Ma la scarsa qualificazione della forza lavoro, insieme a un’economia controllata dalle grandi imprese di Stato e da quelle private ancora più grandi – le prime 10 compagnie minerarie sudafricane sono multinazionali – hanno per ora impedito il successo delle sme.

Eroi e rinnovamento
«Ricordiamo Oliver Tambo», è l’enfatico appello all’unità perduta che l’Anc lancia dal suo sito, annunciando la conferenza elettiva. Andrà avanti fino al 20 dicembre all’Expo Centre di Johannesburg, davanti a Soweto, alle sue poche belle case e alle molte “scatole di fiammiferi” dove continua a vivere la maggioranza. La vecchia township di un milione di abitanti è uno specchio piuttosto fedele dello squilibrio sociale che non è solo fra bianchi e neri ma anche fra neri. Con Nelson Mandela, Tambo è il simbolo assoluto della lotta all’apartheid, ma i grandi eroi sembrano l’unica cosa rimasta all’Anc, il solo partito al mondo che ha vinto tre Nobel per la pace.

L’ultima speranza è Cyril Ramaphosa, 65 anni, il vero avversario di Dlamini-Zuma, l’unico che può fermare la dissoluzione del partito. Le previsioni dicono che se vince l’ex moglie del presidente, l’Anc perderà le Presidenziali contro Alleanza democratica, l’opposizione che già governa la Provincia del Capo, le città di Johannesburg, Pretoria, Capetown e l’area metropolitana di Mandela Bay. L’Anc all’opposizione sarebbe la prova di maturità decisiva della democrazia sudafricana ma anche un momento molto delicato per la stabilità del Paese.

L’ultima speranza è Cyril Ramaphosa, 65 anni, il vero avversario di Dlamini-Zuma, l’unico che può fermare la dissoluzione del partito

Ma se vince Ramaphosa, vincerà di nuovo anche il partito. In tutte le immagini passate alla storia, Cyril Ramaphosa è il giovane con la barba che sulla balconata del comune di Capetown tiene il microfono a Mandela nel suo “Discorso della liberazione”, dopo 27 anni di prigionia. Era l’11 luglio 1990. Sindacalista e politico, Ramaphosa scrisse la costituzione provvisoria del Sudafrica insieme a Roelf Meyer, il giovane bianco del National Party, del quale era diventato amico. Nel 1999 Mandela avrebbe voluto lui come successore. Il partito gli impose Thabo Mbeki. Ramaphosa lasciò la politica e passò al business privato, aprendo la strada in un campo fino ad allora chiuso ai neri. Nel 2012 è tornato nell’Anc come vicepresidente con il compito di opporsi a Zuma.

Ma non sarà facile. «Per dirla con pacatezza, esiste un sospetto ampiamente fondato» che le 20 imprese legate ai Gupta «abbiano sovvertito l’integrità del sistema finanziario sudafricano». Ignorando le altre 74 pagine del dispositivo della sentenza, il giudice Hans Fabricius aveva voluto essere più chiaro del complicato vocabolario legale. I fratelli Ajay, Atul e Rajesh con i nipoti Ashish, Varun e Amol – “The Guptas” – erano emigrati nel 1993 dall’Uttar Pradesh e nel 2016 erano la settima famiglia più ricca del Sudafrica. È difficile sintetizzare in poche righe cosa hanno potuto fare con l’aiuto di Jacob Zuma, dell’Anc, di alcuni ministri e qualche grand commis. Un sistema ramificato che nella sintesi giornalistica è diventato “State capture”.

L’ultima sezione del Museo dell’apartheid di Johannesburg è dedicata a Nelson Mandela. Difficile non commuoversi. Alla fine, praticamente all’uscita, una targa sintetizza il disorientamento dei sudafricani: «Se ne è andato... Cosa facciamo adesso? Come andiamo avanti senza di lui? Sono domande alle quali ognuno di noi dovrà dare una risposta. Il futuro è nelle nostre mani».

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