Il super chirurgo italiano a Dubai: «Ai giovani medici dico che la sanità italiana è la migliore del mondo»
Ai neo laureati suggerisce di «non lasciare per nessun motivo l’Italia» e di «fare la gavetta e non guardare ai soldi perché arriveranno. Mentre solo chi è più maturo e già esperto può tentare di fare un’esperienza all’estero
di Barbara Gobbi
4' di lettura
Nove anni fa, la scelta di lasciare l’Italia con la famiglia per trasferirsi a Dubai. Massimo Piracci, super chirurgo del ginocchio, 57 anni appena compiuti e una laurea a Roma Tor Vergata dove poi si è specializzato in Ortopedia e Traumatologia, ha iniziato così la sua vita da medico “expat”. «Con trent’anni di esperienza alle spalle – racconta – ho iniziato per gioco o per scommessa. Ho preso l’aspettativa e nel frattempo ho valutato la situazione qui negli Emirati Arabi Uniti: alla fine dei due anni mi sono licenziato. Ho atteso fino all’ultimo per valutare se ci fossero condizioni migliori per un rientro in Italia, ma niente. E sto continuando a provare: lo scorso anno ho vinto un concorso in un ospedale pubblico italiano ma quando il direttore generale mi ha chiamato confermandomi lo stipendio regionale che nel Lazio prendono tutti i medici, tra i 3.800 e i 4mila euro al mese e nulla più, ho deciso di restare. Per il momento. Qui si guadagna anche 10 volte tanto e non si pagano le tasse».
All’origine della sua scelta quindi c’è stato un motivo economico?
In Italia le porte sono chiuse innanzitutto rispetto alle prospettive di carriera: difficile sia a livello universitario che ospedaliero. Qui invece si possono ottenere riconoscimenti importanti in base alle qualità professionali. Certo non tutti guadagnano 40 o 50mila euro al mese come capita ad alcuni, anzi per molti il massimo del guadagno sono 15mila euro al mese e a loro dico che con questa cifra in un Paese dove il costo della vita è altissimo si fa ben poco. Meglio restare in Italia: con una scelta di intramoenia quei 7-8mila euro si portano a casa.
Costo della vita alto ‘quanto’?
Qui un appartamento per una famiglia di quattro persone costa di affitto intorno ai 3.500 euro, senza le utenze che sono un altro grosso esborso. Poi va aggiunta la vita quotidiana. In questi Paesi le tasse non si pagano ma di fatto sono implicitamente ricomprese nel costo di tutti i beni di consumo. I servizi sono efficienti e funzionano, il Paese è sicuro e molto tecnologicamente avanzato ma con poco è molto difficile vivere. In più dopo l’invasione russa in Ucraina i prezzi delle case sono cresciuti del 30-35%, con l’arrivo di molti super ricchi da quei Paesi.
Lei è a Dubai con la famiglia al completo: le sue figlie sono nate lì?
Una è nata a Roma e l’altra qui. Parlano perfettamente italiano, l’inglese e l’arabo e questo è un grosso vantaggio ma la scuola, e pure quella che abbiamo scelto è tra le migliori, offre un insegnamento debole. Nulla a che vedere con la scuola italiana, almeno quella che ho frequentato io.
E per la sanità?
Idem per la sanità: dal punto di vista qualitativo la sanità italiana è la migliore del mondo. Qui invece la sanità la fa il singolo medico. Che è da solo, senza una équipe adeguata e quindi il rischio cresce, mentre gli infermieri spesso arrivano da India e Filippine, sono pagati con cifre minime e hanno del resto un bagaglio culturale non paragonabile a quello dei nostri infermieri che in Italia ricevono una preparazione eccellente.
Sarà per questo che gli operatori sanitari italiani sono richiestissimi nei Paesi del Golfo?
Assolutamente sì: da poco mi hanno chiamato anche a Gedda per qualche giorno al mese. Vado, opero e rientro a Dubai. Noi italiani siamo molto ricercati ma va chiarito che i contratti sono ad personam. I maxi-stipendi in ogni caso vanno, se mai, ai medici molto esperti e competenti. Per un collega intenzionato a iniziare la propria carriera qui dall’Italia, la prospettiva massima di stipendio è di 13mila euro e a mio avviso non ne vale la pena. Non solo perché quella cifra deve fare i conti con il costo della vita ma soprattutto perché il livello complessivo della professionalità e della qualità italiane è al top nel mondo. E io che ho lavorato da Miami all’Inghilterra a Dubai posso dirlo: i medici italiani hanno la migliore preparazione di base. Come medico chirurgo ortopedico, a 57 anni sono in grado di spaziare dalla bronchite cronica all’infarto del miocardio alle vene varicose: questo perché le basi che ho ricevuto nell’Università italiana sono solide e complete. In Italia ho fatto una gavetta utilissima, altrove tutto questo non esiste.
Ciò detto, lei tornerebbe mai in Italia?
Ci tornerei di corsa, se ne avessi la possibilità. Vanno create le condizioni per fare rientrare i cervelli in Italia, con il riconoscimento adeguato delle professionalità. A Roma tornerò sicuramente anche per la mia famiglia, per dare alle mie figlie un’istruzione adeguata: resterò a Dubai pochi anni ancora e poi rientrerò per aprire uno studio o per lavorare “a gettone” dentro un ospedale. Ho tante possibilità.
Che messaggio dare ai giovani medici che già stanchi del Ssn pensano di fuggire?
Di non lasciare per nessun motivo l’Italia che è una grande risorsa e offre un Ssn d’eccellenza. Quindi: fare la gavetta e non guardare ai soldi perché arriveranno. Mentre solo chi è più maturo e già esperto può tentare di fare un’esperienza qui all’estero, ma partendo con la certezza di ottenere uno stipendio all’altezza delle aspettative.
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