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Revenge porn: il tatuaggio rende riconoscibile la vittima

Condannato a pagare 25mila euro di danni all’ex fidanzata un uomo di 24 anni che ha divulgato nel gruppo WhatsApp della propria squadra di calcio una foto che ritraeva la ragazza di spalle durante un rapporto sessuale

di Marisa Marraffino

(Marka)

3' di lettura

Il tatuaggio rende riconoscibile la vittima di revenge porn , anche se è ripresa di spalle. Lo ha stabilito il Tribunale di Ravenna che, con la sentenza 1085 del 25 novembre 2019, ha condannato a risarcire 25mila euro di danni all’ex fidanzata un uomo di 24 anni che aveva divulgato nel gruppo WhatsApp della propria squadra di calcio una fotografia che ritraeva la ragazza, diciannovenne all’epoca dei fatti, di spalle durante un rapporto sessuale.

Il tatuaggio che la vittima ha sul braccio, oltre al suo rapporto di parentela con un membro della squadra di calcio reso palese dall’autore della fotografia, la rendono pienamente riconoscibile, anche se non ripresa in volto.

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Per il giudice, ai fini dell’identificabilità della vittima, occorre tenere presenti una serie di elementi, tra i quali il contesto della divulgazione, la citazione di eventuali rapporti di parentela e anche la presenza di tatuaggi che oggi rendono facilmente riconoscibile una persona. Nel caso esaminato, un disegno particolare sul braccio della vittima ha fugato ogni dubbio sulla sua identità nei destinatari della chat. Tutte circostanze, prese in esame anche nel procedimento penale, che infatti si era chiuso con un decreto penale di condanna di 15mila euro di multa.

Il fatto, poi, che fosse un’abitudine della coppia fotografare o filmare i propri rapporti sessuali non ne giustifica la divulgazione a terzi. L’autorizzazione alla ripresa non equivale al consenso alla successiva diffusione. Per il giudice è vero semmai il contrario: la pratica invalsa tra i due avrebbe dovuto garantire che gli scatti restassero nella loro sfera privata.

Occorre precisare che i fatti risalgono al 2015, prima dell’entrata in vigore della più severa norma sul revenge porn che oggi punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5 a 15mila euro la divulgazione non consensuale di materiale pornografico. Il fatto integra comunque gli estremi del reato di trattamento illecito dei dati personali (articolo 167 del decreto legislativo 196 del 2003), che ha portato alla condanna dell’uomo in sede penale e al risarcimento del danno morale nel successivo processo civile.

La Cassazione con la sentenza 30455 del 2 maggio scorso aveva già avuto modo di affermare che la diffusione non autorizzata di video hard su siti internet, pubblicati dall’ex partner per gettare discredito sulla vittima, può integrare non solo il reato di illecito trattamento dei dati personali, ma anche quello più grave di atti persecutori (stalking) e di diffamazione aggravata.

Il nuovo reato – si legge nella sentenza – è stato introdotto proprio per contrastare la “moda” di diffondere foto e video hard senza il consenso dell’interessato, andando a ledere la privacy, la reputazione e la dignità della vittima.

La pronuncia si sofferma sulla gravità del fatto che legittima il risarcimento del danno non patrimoniale in base all’articolo 2059 del Codice civile. Per il giudice appare infatti notorio il «biasimo sociale, la vergogna e la gogna pubblica che per le vittime di tali reati, portati in alcuni casi addirittura al suicidio, consegue alla diffusione sul web o per vie informatiche di immagini intime e private» dal quale deriva la liquidazione del danno in via equitativa. Il parametro per la quantificazione del danno è dettato dal numero di utenti che hanno visualizzato la fotografia e dalla gravità complessiva del fatto.

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