La sentenza Berlusconi

Il tenore di vita resta valido in fase di separazione

di Selene Pascasi

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3' di lettura

Confermato l'assegno di separazione, di ben 2 milioni di euro mensili, che Silvio Berlusconi dovrà versare all'ex moglie. A deciderlo è la Prima sezione Civile della Cassazione, con sentenza 12196 del 16 maggio 2017. Del resto, si tratta di uno degli uomini «più ricchi del mondo, con un patrimonio di vari miliardi di dollari, essendo per altro proprietario di numerose ville prestigiose».

La sentenza di Cassazione 12196/2017

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Di solare evidenza, inoltre, il rilevante divario fra le condizioni patrimoniali e reddituali delle parti che ben giustifica il diritto della signora a percepire quanto necessario per conservare il tenore di vita matrimoniale. In fondo, sul piatto della bilancia, non c'è un assegno di divorzio – in relazione al quale il parametro dello stile di vita coniugale parrebbe asfaltato dalla storica Cassazione 11504/17 – ma un assegno di mantenimento disposto in fase di separazione. Nessuna discrasia, dunque, con il discusso principio, recentemente espresso a Piazza Cavour, che detta lo stop all'assegno divorzile per il coniuge economicamente autonomo o capace di diventarlo, anche nell'ipotesi in cui, chiuso il matrimonio, non riesca a conservare il tenore di vita pregresso. Sul versante assegno di separazione, infatti, nulla è cambiato.

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Attenzione, quindi, a non confondere i risvolti economici legati alla separazione con quelli connessi al divorzio. Se con il divorzio il vincolo coniugale si recide definitivamente – e con esso cadono i doveri di assistenza materiale, salva la previsione di un assegno da disporsi, secondo l'ultimo arresto, solo per il coniuge non autosufficiente e incapace di divenirlo – con la separazione il vincolo permane. Tra separati difatti, pur vigendo una sorta di sospensione dei doveri di natura personale (convivenza, fedeltà e collaborazione), restano vivi quelli economici, quali la previsione di un assegno che il più facoltoso dovrà sborsare nelle mani del meno agiato, così da garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto in precedenza. Nella fase di separazione, scrive il Collegio, il legame coniugale «conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce uno dei cardini fondamentali del matrimonio e non presenta alcun aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi anche temporanea, di separazione».

La rivoluzione che sta monopolizzando i media e che aprirà le porte a una valanga di ricorsi per la revoca dell'assegno di divorzile, pertanto, nulla aggiunge e nulla toglie alla vicenda processuale del leader politico che, muovendosi sui binari dell'assegno di separazione, resta ancorata ai criteri di sempre: pieno diritto per il consorte che versi in una posizione economica deteriore rispetto all'altro e che non riesca, con le sue forze, a mantenere il tenore di vita matrimoniale.

Ma per quantificare l'importo, non sarà necessario un calcolo esatto dei redditi di ciascuno, ritenendosi sufficiente un'attendibile ricostruzione delle rispettive condizioni. Ecco che, considerata la smisuratezza del patrimonio dell'uomo, la Cassazione boccia il ricorso promosso dai suoi legali contro la sentenza della Corte di Appello di Milano (che già aveva ridotto di 1 milione di euro la somma stabilita in primo grado) e ne conferma l'obbligo di versare all'ex moglie 2 milioni di euro mensili. La donna, si legge in sentenza, sarebbe impossibilitata, con i propri mezzi (capacità artistiche e potenzialità da imprenditrice) a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante la

convivenza col marito. Soluzione opportuna perché – nonostante sia in ballo una cifra da capogiro, comunque rapportata alle condizioni economiche dell'imprenditore, autodefinitosi dinanzi ai giudici «ultracapiente» – non realizza uno «scopo eccessivamente consumistico» ma attua (pur nell'eccezionalità del caso, in cui il tenore di vita matrimoniale era «assolutamente al di fuori di ogni norma») i criteri che, normalmente, reggono l'assegno di separazione, improntato alla solidarietà post-coniugale.

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